Page 119 - A spasso con Bob
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La notte più lunga
LA primavera del 2009 doveva già essere alle porte, eppure le sere erano ancora
tristi e buie. Quando smettevo di vendere il giornale, quasi sempre verso le
diciannove, il crepuscolo stava già calando, i lampioni si accendevano e i
marciapiedi si riempivano di gente.
Nei primi mesi dell’anno, quando il numero di turisti era basso, il quartiere era
molto tranquillo, ma si animava con il passare delle settimane e in questo periodo,
nel tardo pomeriggio, la stazione della metropolitana era frequentata da centinaia di
migliaia di persone.
Con il tempo era diventata una zona chic della città, però disgraziatamente non
aveva attirato soltanto il jet set londinese. Quando lavori in strada, sviluppi un sesto
senso, una specie di radar che individua le persone da cui tenerti alla larga. Quel
giorno, saranno state le sei o le sette di sera, il momento di maggior lavoro per me,
un losco figuro che avevo già intercettato in passato comparve all’orizzonte.
Lo avevo già visto aggirarsi in zona: aveva l’aria di una persona rude e rozza. So
bene che anch’io posso sembrare un tipo poco raccomandabile, ma quel tizio faceva
veramente paura: pareva aver dormito da sempre sotto i ponti, aveva la pelle
screpolata ricoperta di pustole e gli abiti luridi e puzzolenti. Ma quello che più mi
spaventava era il suo cane, un grosso rottweiler dal mantello nero con focature
marrone. Dal primo momento in cui l’avevo visto avevo capito che era aggressivo e
l’immagine di loro due insieme mi aveva fatto ricordare Bill Sikes con il suo cane
Bull’s Eye, in una vecchia illustrazione di Le avventure di Oliver Twist.
Quella sera lo vidi avviarsi verso l’ingresso della metropolitana e raggiungere un
gruppetto di persone che da più di un’ora se ne stava fuori della stazione a bere
birra. Anche quella cricca di balordi non mi piaceva. Notai che il rottweiler si era
accorto di Bob e stava tirando il guinzaglio perché moriva dalla voglia di
avvicinarsi. Apparentemente il tipo sembrava in grado di controllare il suo molosso,
ma non potevo dire ancora per quanto, perché mi sembrava molto più interessato a
chiacchierare e a bere birra che a sorvegliare il cane.
Dato che ormai si era fatto tardi, decisi di raccogliere le mie cose e di andarmene
prima possibile, perché avevo un brutto presentimento. All’improvviso, mentre stavo
chiudendo lo zaino, udii un latrato fortissimo e lacerante e ciò che successe
immediatamente dopo sembrò la brutta scena al rallentatore di un pessimo film
d’azione. Con la coda dell’occhio vidi una macchia nera e marrone abbattersi su di
noi. Ovviamente il tizio aveva lasciato troppo lasco il guinzaglio e la bestia aveva
sufficiente libertà d’azione per saltarci addosso.
Il mio primo istinto fu quello di proteggere Bob e con un salto mi parai davanti
alla belva che mi piombò addosso. Vacillai, ma riuscii a resistere all’impatto finché
non cademmo a terra tutti e due, allacciati l’uno all’altro come due lottatori di
wrestling. Urlavo e imprecavo, cercavo di afferrargli la testa per impedire che mi