Page 122 - A spasso con Bob
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per la mente: Non è che magari… Forse ha pensato…
C’era un controllore alla fermata e gli chiesi se per caso avesse visto un gatto
salire sull’autobus. Sapevo che Bob era intelligente, ma il tipo mi lanciò un’occhiata
come se gli avessi chiesto se un extraterrestre aveva preso la 73. Si limitò a scuotere
la testa e ad allontanarsi.
Sapevo che i gatti sono dotati di un senso dell’orientamento molto sviluppato e
possono ricordarsi anche lunghi percorsi, ma l’idea che Bob riuscisse a trovare la
via per arrivare fino a casa mi sembrava folle. Da lì fino a Tottenham c’erano quasi
sei chilometri e bisognava attraversare alcune delle zone più trafficate di Londra.
Inoltre non aveva mai percorso a piedi il tragitto, c’eravamo sempre spostati in
autobus. Decisi di scartare quella ipotesi.
Per i successivi trenta minuti rimasi in balia di emozioni contrastanti: mi
convincevo che non poteva essersi allontanato troppo perché ormai la gente del
quartiere lo conosceva e mi dicevo che se anche fosse stato trovato da qualcuno che
non lo aveva mai visto prima, bastava un minimo di attenzione per capire che si
trattava di un gatto domestico e che era sicuramente registrato. L’attimo dopo venivo
però sopraffatto dallo sconforto e una serie di brutti pensieri mi rimbalzavano in
mente.
Forse tutto questo era già accaduto tre anni prima, quella sera di settembre, in cui
Bob aveva cercato riparo nel mio condominio; forse l’aggressione del cane aveva
fatto scattare in lui la decisione di andarsene ancora una volta. Ero sconvolto: la
logica mi faceva dire che l’avrei ritrovato, l’istinto mi gridava che era fuggito chissà
dove e che l’avevo perso per sempre.
Per quasi un’ora continuai a percorrere Essex Road. Ormai era notte e tutta la
strada fino a Islington High Street era imbottigliata nel traffico perciò pensai di
andare da Belle che abitava a un paio di chilometri da lì.
Stavo oltrepassando un vicolo quando vidi di sfuggita la coda di un gatto: era
bianca e nera, niente a che vedere con quella di Bob, ma l’agitazione gioca brutti
scherzi e mi dissi che dovevo comunque accertarmi che non si trattasse di lui.
«Bob, Bob!» gridai immergendomi nell’oscurità. Sulle prime non ottenni nessuna
risposta, poi, da qualche parte nel buio, udii un miagolio, molto diverso dal suo.
Rimasi ancora fermo in quel punto per un paio di minuti, poi me ne andai.
Con il passare del tempo il traffico era diminuito e la notte era diventata
minacciosamente silenziosa; mi accorsi per la prima volta che erano spuntate le
stelle. Non si trattava certo di un cielo notturno australiano, ma era ugualmente bello.
Soltanto qualche settimana prima guardavo le stelle in Tasmania e dicevo a tutti che
dovevo tornare a Londra per prendermi cura di Bob. Ecco che cosa avevo
combinato, continuavo a ripetermi.
Mi chiesi anche se tutto quel lungo periodo trascorso in Australia non avesse in
qualche modo contribuito alla sua decisione di fuggire. Forse la lontananza aveva
allentato il legame tra me e Bob? Forse la mia lunga assenza gli aveva fatto dubitare