Page 114 - A spasso con Bob
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lui.

             «Oh, sembra proprio un bel tipo», esclamò la mamma quando vide per la prima
          volta il suo musetto.
             «Ah,  sì!  È  così  intelligente»,  ribattei  tutto  gonfio  di  orgoglio.  «Non  so  proprio

          dove sarei finito se non avessi trovato lui.»
             La  vacanza  mi  fece  un  gran  bene:  mi  aiutò  a  chiarirmi  le  idee  sul  futuro  e  a
          prendere consapevolezza di quello che realmente desideravo per me.
             Da una parte mi dispiaceva andarmene, qui viveva la mia famiglia, potevo contare
          su  una  rete  di  relazioni  di  cui  ero  totalmente  privo  a  Londra.  Dall’altra,  però,

          continuavo a pensare a Bob e al fatto che senza di me si sarebbe sentito perso, come
          stava  succedendo  anche  a  me.  Non  ci  pensai  su  due  volte.  All’inizio  della  sesta
          settimana in Australia ero già con la testa sull’aereo che mi riportava in Inghilterra.

             Questa volta salutai mia madre nel modo giusto. Lei mi accompagnò all’aeroporto,
          fino al gate del mio volo per Melbourne, città nella quale mi sarei fermato qualche
          giorno per incontrare i miei padrini. Li ricordavo con affetto perché erano state due
          presenze  importanti  durante  la  mia  infanzia  e  adolescenza.  Erano  molto  ricchi,
          avevano  fondato  la  più  grande  compagnia  telefonica  privata  australiana  ed  erano

          stati  i  primi  a  diffondere  nel  Paese  il  sistema  di  cercapersone  elettronico,  prima
          dell’avvento dei telefoni cellulari. Da bambino avevo trascorso molto tempo nella
          grande villa di Melbourne e a un certo punto mi ero anche trasferito da loro quando

          la mamma e io non riuscivamo più ad andare d’accordo.
             Reagirono al racconto della mia esperienza in Inghilterra allo stesso modo di mia
          madre,  ne  furono  sconvolti.  Mi  offrirono  un  aiuto  economico  e  anche  di  trovarmi
          subito un buon lavoro se avessi deciso di restare in Australia, ma spiegai loro che
          era  impossibile  perché  a  Londra  avevo  delle  responsabilità  a  cui  non  potevo

          sottrarmi.
             Il viaggio di ritorno fu decisamente meno avventuroso. Mi sentivo in forma, sotto
          tutti i punti di vista, e quindi dovevo essere passato inosservato tanto agli occhi degli

          uomini della dogana quanto a quelli del controllo passaporti.  Ero così rilassato e
          così in pace con me stesso che per tutte le molte ore di volo dormii profondamente.
             Tuttavia, morivo dalla voglia di rivedere Bob e continuavo a chiedermi se fosse
          cambiato in quei due mesi e anche se mi avrebbe riconosciuto. Che stupido ero stato
          a preoccuparmi!!

             Appena  varcai  la  soglia  dell’appartamento  di  Belle,  Bob  drizzò  la  coda  e  poi
          saltò giù dal divano per corrermi incontro.
             Gli  avevo  portato  un  regalino,  un  paio  di  piccoli  canguri  di  gomma,  e  lui  ne

          agguantò uno e cominciò subito a giocare, tutto contento.  Tornando a casa, quella
          sera,  mi  risalì  il  braccio  e  si  accoccolò  sulla  spalla,  come  faceva  di  solito.  In
          quell’istante  dimenticai  completamente  il  viaggio  che  mi  aveva  portato  dall’altra
          parte del pianeta. Ancora una volta eravamo insieme lui e io contro tutto il mondo ed
          era come se non fossi mai partito.
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