Page 112 - A spasso con Bob
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terminal era grande come una città. Mi ci vollero tre ore per recuperare il bagaglio e

          rintracciare il gate. Mi ero scordato quanto potessero essere enormi e disumani gli
          aeroporti. Per spostarmi da una parte all’altra del nuovo Terminal 3 avevo dovuto
          addirittura prendere un treno.

             Sbagliai  direzione  un  paio  di  volte,  ma  alla  fine  riuscii  a  trovare  la  mia
          coincidenza a meno di un’ora dal decollo.
             Quando sprofondai nella poltrona del velivolo tirai un grosso sospiro di sollievo
          e per tutto il viaggio fino a Melbourne dormii profondamente, ma una volta atterrato
          in Australia mi resi conto che i guai non erano ancora finiti.

             Mentre  mi  avviavo  verso  il  controllo  doganale  mi  ero  accorto  che  un  labrador
          aveva puntato il mio borsone e aveva cominciato ad annusarlo.
             «Mi scusi, signore, vuole seguirci per favore», mi chiese una guardia doganale.

             Oh, mio Dio, pensai, non riuscirò mai a rivedere mia madre!
             Fui  condotto  in  una  stanza  dove  le  guardie  esaminarono  il  mio  bagaglio  per
          rilevare la presenza di eventuali sostanze stupefacenti. Dalla loro espressione capii
          che qualcosa non andava.
             «Nella sua sacca sono presenti tracce di cocaina», mi informò uno degli agenti.

             Ero sbalordito. Come era possibile? Non avevo mai fatto uso di cocaina e nessuno
          tra i miei conoscenti l’assumeva. Non avrebbero mai potuto permettersela.
             I  doganieri  mi  spiegarono  che  in  Australia  spacciare  era  un  reato,  ma  che  il

          consumo di droghe per uso personale era invece lecito.
             Spiegai  loro  la  mia  situazione.  «Mi  sto  disintossicando  e  non  prendo
          stupefacenti»,  ribattei  e  mostrai  la  lettera  in  cui  il  mio  medico  dichiarava  che
          assumevo il Subutex per scopi terapeutici.
             Mi  perquisirono  e  alla  fine  mi  rilasciarono.  Quando  uscii  dagli  uffici  della

          dogana, era trascorsa un’ora.  Dovevo ancora prendere l’ultima coincidenza per la
          Tasmania  e  il  volo  sarebbe  durato  un  bel  po’.  Quando  finalmente  arrivai  a
          destinazione, nelle prime ore della sera, ero sfinito.

             Vedere mia madre fu bellissimo. Mi aspettava in aeroporto e quando mi avvicinai,
          mi strinse in un forte abbraccio. Piangeva, immagino che fossero lacrime di felicità,
          era passato così tanto tempo…
             Il  cottage  era  proprio  delizioso,  come  mi  aveva  scritto  nella  lettera.  Grande,
          luminoso, con un ampio giardino. Tutt’attorno c’erano campi coltivati e in fondo alla

          proprietà  scorreva  un  fiume.  Era  un  luogo  molto  tranquillo  e  pittoresco  in  cui
          sicuramente mi sarei rilassato e ricaricato.
             Bastarono un paio di settimane per sentirmi una persona completamente diversa.

          Le  preoccupazioni  di  Londra  erano  distanti  migliaia  di  chilometri,  più  di
          quindicimila  per  l’esattezza  e  la  mamma,  con  il  suo  forte  istinto  materno,  si
          preoccupava  che  mangiassi  a  sufficienza.  Sentivo  ogni  giorno  tornarmi  le  forze  e
          avevo anche la sensazione che lei e io stessimo ricostruendo il nostro rapporto.
             La  nostra  conversazione  all’inizio  rimase  superficiale,  ma  poi  cominciai  ad
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