Page 113 - A spasso con Bob
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aprirmi con lei ogni giorno di più.  Una sera, mentre eravamo seduti in veranda a

          guardare il tramonto bevendo un bicchiere, le parole mi uscirono a fiumi.  Non si
          trattò di una confessione, semplicemente iniziai a parlare e a parlare…
             Avevo soffocato le mie emozioni troppo a lungo. Per anni avevo fatto ricorso agli

          stupefacenti per nascondere i miei sentimenti e per non soffrire.  Ma qualcosa era
          cambiato e volevo ricominciare a vivere.
             Le raccontai quanto ero caduto in basso negli ultimi anni e lei ne fu ovviamente
          sconvolta, come lo sarebbe stato qualsiasi altro genitore al mondo.
             «Avevo capito che le cose non ti andavano bene quando ci siamo visti, ma non

          avrei mai immaginato che stavi vivendo un inferno simile», singhiozzò tra le lacrime.
             Ascoltava le mie parole tenendosi la testa tra le mani, ogni tanto balbettava un
          «perché» sommesso.

             «Perché non mi hai detto che avevi perso il passaporto?
             «Perché non mi hai chiesto aiuto?
             «Perché non hai cercato tuo padre?»
             Inevitabilmente si sentiva responsabile di quanto mi era capitato. Disse che era
          colpa sua, che mi aveva abbandonato, ma la rassicurai perché la colpa era solo mia,

          ero stato io a mollare.
             «Non sei stata tu a scegliere di dormire per strada o a decidere di imbottirti di
          droga», le dissi a un certo punto e lei scoppiò di nuovo a piangere.

             Una  volta  rotto  il  ghiaccio,  cominciammo  a  parlare  più  tranquillamente.
          Rievocammo  gli  anni  della  mia  infanzia  in  Australia  e  in  Inghilterra,  era  bello
          poterle dire quello che pensavo veramente. Le confessai che l’avevo sentita distante
          durante  quel  periodo  e  anche  che  avevo  sofferto  perché  ero  stato  cresciuto  dalle
          babysitter in città sempre diverse.

             Lei si difese ribattendo che doveva lavorare per guadagnare e per garantirmi un
          tetto sulla testa. Capivo il suo punto di vista, ma sicuramente allora avevo sentito la
          sua mancanza e mi sarebbe piaciuto che avesse avuto più tempo per me.

             Ridemmo anche molto perché la nostra fu una lunga chiacchierata sulle cose brutte
          ma anche su quelle belle e, alla fine, dovemmo convenire che ci assomigliavamo
          molto e che forse era questo il motivo per cui ci eravamo così tanto scontrati quando
          ero adolescente.
             «Ho un carattere forte e tu mi assomigli», aggiunse sorridendo.

             Comunque, più che del passato parlammo del futuro. La mamma volle sapere in
          che  cosa  consisteva  il  mio  programma  terapeutico  e  si  interessò  ai  miei  progetti
          adesso che mancava poco alla completa disintossicazione.  Le spiegai che la cosa

          migliore era fare un passo alla volta, ma la rincuorai che entro un anno al massimo
          sarei guarito completamente. In alcuni momenti rimase semplicemente ad ascoltarmi
          e anch’io feci lo stesso, cosa che per noi rappresentava una novità.
             Durante le nostre lunghe chiacchierate, le raccontai spesso di Bob. Avevo portato
          con me una foto e la mostravo a tutti quelli che manifestavano un certo interesse per
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