Page 53 - Il mostro in tavola
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Cibo e futuro


           Si parte sempre dallo stesso punto: nutrire il mondo, l’assillo di tutti. Esiste una data di

        scadenza: entro il 2050 saremo 9 miliardi di persone, e la grande domanda è se ci basterà
        il cibo.

           Nutrirsi è da sempre una delle necessità più importanti per l’umanità, grazie alla quale
        abbiamo  scoperto  l’agricoltura,  che  ha  gettato  le  basi  per  la  civiltà.  Oggi  la  corsa  per
        nutrire il pianeta ci sta conducendo verso un nuovo eldorado del cibo. Negli anni ’50 la
        Rivoluzione verde aveva stravolto il modo di coltivare la terra, era la soluzione per dare da
        mangiare a tutto il mondo, la scoperta di nuovi concimi di sintesi, gli ibridi, ovvero gli
        incroci di piante per ottenere maggiore produttività, l’avvento dei pesticidi e l’uso delle
        macchine agricole. Questa, in estrema sintesi, era la soluzione del secolo scorso che gli
        agricoltori hanno applicato in tutto il mondo. Ma qualcosa è cambiato. Oggi l’agronomia
        si sta aggiornando e la produzione di cibo cambia.

           La  produzione  attuale  di  cibo  con  le  tecniche  del  passato  sta  lentamente  e
        inesorabilmente diminuendo. Le coltivazioni stanno raggiungendo i loro limiti fisiologici
        di  produttività.  Francia,  Germania  e  Inghilterra,  i  tre  principali  produttori  di  frumento
        europei, hanno registrato un basso rendimento nelle produzioni per oltre dieci anni. Presto

        anche  molti  altri  paesi  arriveranno  ad  avere  gli  stessi  problemi,  come  conferma  Lester
        Brown,  il  fondatore  del  World  Watch  Institute.  In  Giappone  la  produzione  di  riso  non
        cresce da 17 anni. Anche la Cina sta raggiungendo la situazione giapponese. I dati parlano
        chiaro: nel mondo la produzione di cibo è triplicata dagli anni ’50. Fino agli anni ’90 la
        produzione è aumentata del 2,2% all’anno, successivamente è calata, fino a crescere solo
        dell’1,3%  all’anno.  Secondo  Lester  Brown,  come  dichiara  in  un’intervista  rilasciata  al
        «Guardian»,  raggiungere  una  fase  di  decrescita  della  produttività  potrebbe  risultare  un
        grave  problema  soprattutto  per  grandi  paesi  come  Cina  e  India,  dove,  specialmente  in
        quest’ultimo, la popolazione cresce di 18 milioni di persone all’anno. La Gran Bretagna
        sta già collaborando con altri paesi europei per studiare le cause dell’arresto fisiologico
        della produttività delle piante. Ciò che è emerso negli ultimi anni di ricerca è che il pool
        genetico  delle  piante,  ovvero  i  geni  delle  coltivazioni  oggi  in  campo,  deve  essere
        aggiornato. Non è solo una questione di geni, forse sono altri i fattori da valutare, però la
        soluzione che va per la maggiore è ancora quella di concentrarsi esclusivamente sui geni.
        Le dichiarazioni di Lester Brown mi hanno fatto venire in mente un’altra ricerca recente,
        che mira proprio a rinnovare i geni disponibili. Un progetto che va nella direzione della

        salvaguardia  della  biodiversità  e  che  vede  una  collaborazione  internazionale  tra
        l’Università di Pavia e il Kew Garden di Londra: lo scopo è quello di raccogliere i semi
        delle piante «progenitrici» di quelle coltivate, ovvero tutte quelle piante selvatiche presenti
        in natura da cui gli agricoltori nei millenni hanno selezionato le varietà in uso oggi. Sono
        dette Crop Wild Relatives, ovvero gli antenati delle piante addomesticate che vivono in
        natura.  Una  volta  individuate  verranno  conservate  nelle  Banche  dei  semi,  speciali
        magazzini a temperature controllate che possono conservare i semi mantenendoli attivi.
        L’obiettivo è quello di salvaguardare il patrimonio genetico di piante selvatiche che ancora
        lo conservano intatto, e potrebbero diventare donatrici di «geni» per il miglioramento delle
        coltivazioni e il mantenimento degli ecosistemi agricoli sostenibili. Il Parco della Vena del
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