Page 48 - Il mostro in tavola
P. 48
L’idea di imprevedibilità delle malattie in un sistema alimentare come il nostro è una
lezione che avremmo dovuto imparare già quasi 30 anni fa. Nel 1986 si verifica il primo
caso di mucca pazza, e dopo solo 10 anni muoiono 10 persone: tutto nasce dall’uso delle
farine animali. Alimentare gli animali erbivori con carne di animali ha determinato gravi
conseguenze. La causa della malattia (detta anche di Creutzfeldt Jakob, dal nome del suo
scopritore) è dovuta a una proteina, un prione, che ha subito una modificazione nella sua
conformazione e induce un effetto a catena sulle proteine simili modificandole e
scatenando così gli effetti del morbo. Dal 1999, in Europa è stato vietato l’uso di farine
animali per alimentare gli animali negli allevamenti. Ma come si può leggere nel capitolo
«Carne guasta», l’uso delle farine animali è stato nuovamente permesso in maniera diversa
dal passato nella speranza di evitare il ripetersi dei problemi. Visto cosa è accaduto è
difficile avere delle certezze sul futuro. Per casi così delicati, l’ideale sarebbe utilizzare la
regola che «nel dubbio è preferibile non avere dubbi»!
La mucca pazza sembra essere un pericolo ormai dimenticato, appartenente a un passato
sbiadito nella nostra memoria.
Recentemente, in Veneto, i silos carichi di mais, per un ammontare di 20 milioni di euro
– un terzo della produzione di mais del 2012 – sono stati contaminati da un fungo,
l’Aspergillus flavus, che produce un tossina detta aflatossina, tossica per l’uomo. La
presenza del fungo è dovuta essenzialmente al clima particolarmente siccitoso che è stato
decisivo nel favorirne la diffusione. A causa della presenza dalla tossina, il mais risulta
tossico e per questa ragione non commestibile. Il limite di aflatossine è stato superato:
oltre le 5 ppb (parts per billion). Il mais non potrà essere utilizzato per l’alimentazione
umana. Per l’alimentazione animale il limite è fissato a 20 ppb. Anche qui si nasconde un
pericolo. Secondo l’Istituto zooprofilattico di Lombardia ed Emilia, la particolare tossina
individuata nel mais contaminato, aflatossina B1, si può trasformare nell’aflatossina M1,
una sua versione cancerogena. Secondo gli esperti del settore, per l’alimentazione degli
animali destinati alla produzione di carne il limite fissato a 20 ppb può essere superato
senza problemi elevandolo a 100 ppb. Andiamo all’origine del problema: il mais è uno dei
prodotti prevalenti con cui vengono nutrite le vacche da latte e gli animali da macellare,
questo significa che in condizioni di siccità particolari, cosa che nei prossimi anni saremo
destinati ad affrontare con maggiore frequenza vista la fase di cambiamento climatico che
stiamo attraversando, è probabile che la contaminazione possa verificarsi nuovamente.
Allora, piuttosto che alzare il livello di aflatossine, cosa che nessuno contesta come
possibile opzione tutta da valutare, si può invece ipotizzare che il modello produttivo
basato quasi esclusivamente sull’uso di mais appartenga al passato e sia ormai troppo
costoso (e visto ciò che è accaduto anche pericoloso).
In tutti i casi che abbiamo visto non è la malattia a essere il problema, spesso siamo noi
ad aver favorito la sua diffusione, soprattutto stoccando grandi quantità per rivenderle al
momento più opportuno, speculando sulle materie prime per stare dietro a un mercato
esigente e sempre più competitivo. Produrre sempre e comunque, producendo di più di
quello che realmente il sistema alimentare richiede (vedi il capitolo «Sprechi di cibo»).
Un sistema alimentare come il nostro che cresce sempre più nelle sue dimensioni rischia
di diventare sempre più pericoloso, senza difese immunitarie. L’insicurezza alimentare
nasce da un sistema non più in grado di difendersi perché ha superato i suoi limiti,