Page 40 - Il mostro in tavola
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Pesticidio


           Ogni anno esce un bel documento realizzato da Legambiente: è un dossier, che racconta

        quanti  pesticidi  finiscono  nel  nostro  piatto  (I  pesticidi  nel  piatto,  2012).  Dall’analisi
        presentata da Legambiente emerge che circa un terzo di ciò che mangiamo tra frutta e
        verdura  presenta  residui  di  pesticidi  chimici.  Tra  i  residui  presenti  ci  sono:  diserbanti,
        insetticidi, fungicidi.

           Alcuni  dei  campioni  di  frutta  analizzati  arrivano  ad  avere  anche  fino  a  9  residui  di
        diversi prodotti chimici. Il pericolo maggiore che ne deriva è il rischio di esposizione al
        multiresiduo,  ovvero  la  presenza  simultanea  di  più  prodotti  chimici  nei  nostri  alimenti.
        Parliamo di un sospetto avanzato anche da Legambiente, ovvero che la presenza di più
        prodotti chimici di diverso tipo possa comportare degli effetti negativi sulla salute legati
        proprio  alla  sinergia  che  può  crearsi  tra  i  diversi  elementi.  Di  fatto,  denuncia
        l’associazione  ambientalista,  mentre  la  normativa  trova  attualmente  una  sua  specifica
        applicazione  nel  limite  massimo  dei  residui,  basata  però  solo  sugli  effetti  dei  singoli
        residui, non impone controlli sul multiresiduo.

           In  ciò  che  mangiamo  vengono  anche  rilevati  residui  di  sostanze  che  possono  essere
        particolarmente pericolose, utilizzate illegalmente. Tra le sostanze che vengono indicate

        dall’associazione  ambientalista  c’è  il  chlorpyrifos,  ormai  riconosciuto  dannoso  per
        l’uomo.  Altera  il  funzionamento  del  sistema  endocrino  e  può  compromettere  il
        funzionamento del sistema ormonale, ha anche un’azione neurotossica. Si aggiunge alla
        lista  anche  il  captano,  un  funghicida  che  l’Epa  segnala  come  possibile  cancerogeno.
        Questi sono solo alcuni dei composti presenti sulla frutta e verdura, ma l’elenco è ancora
        lungo. Per quanto possa sembrare difficile da comprendere, bisogna pensare un po’ più in
        grande, e il problema non si può fermare ai soli pesticidi dannosi per l’uomo. Di fatto
        siamo  ospiti  di  una  comunità  più  grande  di  noi,  e  tutto  quello  che  danneggiamo  può
        tornarci indietro come un boomerang. Per quanto si possa pensare di migliorare la ricerca,
        di diminuire le dosi e il numero di principi utilizzati, è di vitale importanza comprendere
        che è il dato non rilevabile, ovvero l’impatto ambientale, ad avere dimensioni difficili da
        quantificare.  Per  quanto  un  prodotto  possa  apparentemente  sembrare  sotto  controllo
        durante il suo utilizzo, la sua dispersione nell’ambiente dà vita a molti effetti secondari
        che sono impossibili da prevedere. L’impatto sull’ambiente dei prodotti chimici è difficile
        da definire, perché le comunità ecologiche sono costituite da infinite connessioni legate da
        un sottile filo: le catene alimentari. È alquanto paradossale che per coltivare il cibo di cui

        ci  nutriamo  creiamo  degli  effetti  negativi  sulle  comunità  animali  e  vegetali  proprio  a
        partire  dalle  catene  alimentari.  Per  rendere  queste  parole  meno  fumose  e  offrire  degli
        esempi concreti, è il caso di ricordare i fantasmi del passato, ovvero il DDT, e il processo
        che  si  chiama  biomagnificazione,  ovvero  l’accumulo  crescente  di  un  prodotto  chimico
        attraverso le catene alimentari che porta alle dosi letali ai vertici della catena. Il DDT è
        conosciuto  per  la  sua  capacità  di  accumularsi  negli  acidi  grassi.  Così,  ad  esempio,  un
        erbivoro che si nutre di molta erba cresciuta in un terreno contaminato da DDT accumula
        tale sostanza nei tessuti adiposi, e di conseguenza l’uomo che mangia la carne proveniente
        da questi erbivori accumula a sua volta una dose notevole di DDT. Ci sono voluti anni di
        ricerca prima di capire il vero problema, che non si nascondeva nella molecola stessa ma
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