Page 36 - Il mostro in tavola
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Grassi vegetali
Chi l’avrebbe mai detto che la dolce e innocente merendina acquistata al supermercato
può indirettamente essere una delle cause di guerre civili, sfruttamento del lavoro dei
minori, sfruttamento delle risorse naturali, land grabbing e molto altro. Un semplice
ingrediente, che rende quella nostra merendina così unica nel suo sapore, è al centro di
molte dinamiche negative. Stiamo parlando dell’olio di palma, ufficialmente indicato con
la dicitura di olio vegetale (dicitura che può anche sottintendere molti tipi di prodotti
differenti). Lo leggiamo numerose volte tra gli ingredienti, senza sapere di che grasso
vegetale ci stiamo alimentando. A conoscere che cosa accade a migliaia di km di distanza,
grazie al nostro consumo di olio di palma, probabilmente faremmo un passo indietro di
fronte a quella gustosa confezione alimentare che ci appare così invitante.
Secondo i dati forniti da Oxfam, l’olio di palma è presente in più del 50% degli alimenti
venduti al supermercato. Seguendo questi ritmi di consumo, si prevede che la sua
produzione raddoppierà, fino ad arrivare a coprire una superficie di 24 milioni di ettari,
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ben sei volte l’Olanda . La coltivazione di olio di palma si è diffusa ovunque nel mondo:
in America Latina e in Africa Occidentale stanno nascendo le nuove frontiere della
coltivazione della palma da olio. La Malesia è il maggiore produttore del mondo con
l’85% della produzione mondale. In America Latina, la maggior parte della produzione è
situata in Colombia e si sta diffondendo in Honduras e in Guatemala.
Il modo in cui si è diffusa la coltivazione di olio di palma nel mondo, e le società i cui
interessi spingono per essere sempre più affamate di terre da coltivare, arrivano a fare
pressioni sulle popolazioni locali per acquistare la terra, di fatto creando conflitti e
minacciando la sicurezza alimentare locale. Solo in Indonesia i conflitti legati allo
sfruttamento dei terreni per l’olio di palma, segnalati dalle ONG locali, arrivano a essere
più di 663. Oxfam, nella sua pubblicazione La nuova corsa all’oro dove si parla appunto
di land grabbing, ovvero la pratica di accaparramento delle terre attraverso manovre
scorrette, fornisce i dati della Malesia, dove le società che si occupano di reperire terreni
per la coltivazione dell’olio di palma chiedono agli abitanti di affittare le loro terre per 35
anni. Aggiungo che, come periodo di tempo, mi sembra normale per la coltivazione della
palma, ma chiaramente va visto nell’ottica delle prospettive di vita locali, dove la
sussistenza alimentare è basata in gran parte sull’agricoltura, e offrire come unica
alternativa di reddito la coltivazione della palma significa di fatto togliere la terra per la
coltivazione dedicata all’autosufficienza. Ma c’è una bella sorpresa, ed ecco dove nasce il
furto. Come si legge nella pubblicazione di Oxfam, in alcuni casi gli abitanti che hanno
sottoscritto il contratto hanno scoperto che una volta trascorsi i 35 anni il terreno sarebbe
tornato allo Stato, il quale potrà cederli nuovamente alla società per altri 95 anni:
un’operazione in puro stile land grabbing. Stiamo parlando di un prodotto agricolo che
spesso viene ottenuto anche nei modi meno ortodossi. Nel Borneo sono ormai molti gli
scenari di sfruttamento dei minori impiegati nelle coltivazioni di olio di palma; essi sono
sottoposti a duri turni di lavoro senza diritti, senza possibilità di istruzione e cure sanitarie.
Per la palma la crescente domanda determina l’incremento dell’interesse, e la richiesta di
lavoro in Malesia è in costante aumento, così come i profitti. Secondo la FAO, in
Guatemala la superficie dedicata alla coltivazione di olio di palma è aumentata da 35.000