Page 34 - Il mostro in tavola
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caso in America, e nel 2005 anche in Italia si sono registrati alcuni episodi di
intossicazione. Dove i controlli si allentano, interviene il crimine delle manipolazioni e
delle scorciatoie; sui grandi volumi, qualsiasi prezzo che non sia monetario vale la pena di
essere affrontato: questa è forse l’unica logica che vede a volte chi produce nel vortice di
un danno a catena che supera tutte le misure immaginate.
Non sempre il crimine è il colpevole degli abusi e degli eccessi nel cibo: la vicenda del
Parmesan, di molti anni fa, è ormai un caso di studio e rappresenta non solo un simbolo
per comprendere la lotta e la difesa dei prodotti made in Italy, ma permette anche di
evidenziare le altre criticità del sistema alimentare. Parmesan, così veniva chiamato, era
un formaggio tedesco che voleva assomigliare al nostro Parmigiano, ma non aveva
nessuna credenziale per poter essere scambiato nemmeno lontanamente con esso.
Un’imitazione? Una blanda copia? Un goffo tentativo di emulazione?
Ormai è passato molto tempo, già nel lontano 2003 la Commissione Europea decise di
attuare una procedura di infrazione nei confronti della Germania, in modo da vietare
l’utilizzo improprio del nome Parmesan, in quanto generava confusione nei consumatori.
Il nome di un prodotto è importante per il suo riconoscimento, sfruttarne la somiglianza
per diventare come gli altri, o essere scambiati per altri prodotti più o meno
consapevolmente, è comunque un atto poco nobile. L’episodio del Parmesan fu di fatto
uno dei casi più raccontati dai media per parlare del problema dei prodotti esteri venduti
come prodotti italiani. Il fenomeno è di una certa rilevanza, e gli è stato dato un nome:
italian sounding, ovvero quando un prodotto viene venduto come italiano. La questione ha
una incidenza economica molto importante.
Secondo la Coldiretti, almeno 1 prodotto su 3 subisce questa falsificazione, nel 2009
sono stati spesi 9 miliardi di euro per importare prodotti esteri e riciclarli come made in
Italy. Si parla proprio di riciclaggio alimentare. In Canada e negli Stati Uniti, i falsi
superano il vero prodotto italiano con un rapporto di 10 a 1, un furto di 24 miliardi di euro
a cui si aggiungono le contraffazioni vere e proprie, che ammontano a 3 miliardi di euro.
In Europa il rapporto è di 2 a 1. Secondo Confagricoltura, il prodotto simil italiano si
traduce anche in un danno economico nell’export.
Il made in Italy, proprio perché forte di questa sua riconoscibilità nel mondo, è sotto
continuo attacco. È un bene che la Comunità europea cerchi di eliminare l’abuso
perpetrato verso un prodotto ormai conosciuto in tutto il mondo. Il punto non è il danno in
sé verso un marchio affermato: si tratta di una questione un po’ più sottile. Un filo rosso
lega i fatti di intossicazione da melammina e la falsificazione di un marchio, e riguarda la
sicurezza alimentare. L’importanza di rendere sicuro un alimento passa anche attraverso le
regole, l’articolo 13 del regolamento CEE 2081/92 dell’Unione Europea protegge i
prodotti DOP che sono costantemente falsificati. È come una gara per il miglioramento, se
da una parte si cerca di rendere sicuro un alimento, migliorarne la tracciabilità e la sua
integrità, dall’altra incessantemente molte persone tentano di fare esattamente l’opposto.
Il tutto è mosso da grandi interessi influenzati da dinamiche differenti da quelle di noi
consumatori. Strade che si confondono poi con questioni economiche, di cattiva finanza e
scommesse azzardate. Il latte e i suoi derivati sono al centro di episodi che fanno ormai
parte della storia ma che meritano di essere ricordati.