Page 31 - Il mostro in tavola
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proprio per nutrire i pesci. La diossina e il mercurio si trovano nelle farine animali per via
        dell’inquinamento del mare, e si accumulano nell’organismo dei pesci, precisamente nei
        tessuti  grassi.  Tutto  questo  indica  lo  stato  di  salute  del  nostro  mare,  che  è  sempre  più
        inquinato. Uno degli inquinanti più persistenti è il mercurio. Raggiunge il mare attraverso
        l’atmosfera,  provenendo  dalle  combustioni  di  combustibili  fossili  come  il  carbone.  Le
        industrie  presenti  sulle  coste  sono  le  principali  fonti  inquinanti.  Nel  2013  è  stato
        pubblicato uno studio: Sources to Seafood: Mercury Pollution in the Marine Environment,
        che  ha  lanciato  l’allarme  circa  la  presenza  di  mercurio  nell’ambiente  marino,  con
        particolare riferimento alla Baia di San Francisco, al golfo del Messico, all’Oceano Artico,
        all’estuario del fiume Hudson e ad altri luoghi situati nei pressi degli Stati Uniti.

           Secondo l’Istituto di ricerche economiche per la pesca e l’acquacoltura (Irepa), nel 2011
        in Italia sono stati consumati 1 milione e 193 mila tonnellate di pesce, 19,7 kg a persona, e
        il  79,9%  risulta  essere  pesce  importato  dall’estero.  Mi  viene  da  aggiungere  che,  in  un

        paese circondato dall’acqua, tale dato è davvero curioso.

           Oltre  che  acquistare  pesce  di  altri  mari,  preferiamo  sempre  andare  al  risparmio  e
        scegliere la bassa qualità, senza curarci della tracciabilità.

           Quando si acquista un pesce proveniente da mari «esotici» stiamo promuovendo effetti
        come  il  fenomeno  dell’ocean  grabbing,  ovvero  l’accaparramento  delle  risorse  marine.
        Come  accade  per  la  terra  che  viene  venduta  al  migliore  offerente  a  scapito  delle
        popolazioni locali, anche l’oceano in un certo modo viene privatizzato. Gli accordi presi
        dalle  flotte  straniere  per  «colonizzare»  le  acque  dei  paesi  in  via  di  sviluppo  hanno  la
        meglio sulle comunità locali. Così il pesce che viene consumato di più sulle nostre tavole
        diventa quasi un furto a migliaia di chilometri di distanza. Questo accade perché il paese
        che rilascia le licenze non adotta nessun meccanismo di controllo adeguato per evitare che
        i propri mari vengano saccheggiati da una pesca che non è attenta agli equilibri locali, ma
        il cui unico interesse è portare a casa un bottino di pesce. I paesi poveri preferiscono fare
        cassa, concedendo l’accesso alla pesca a chi paga per il maggior quantitativo di pesce.
        Così, ad esempio, il Cile ha varato nel 2002 un piano secondo il quale il 93% delle risorse

        ittiche viene destinato alla pesca industriale per la produzione di mangimi, e solo il 7%
        alla  pesca  tradizionale  per  il  consumo  locale.  Stessa  situazione  per  il  Sudafrica,  dove
        grazie a un meccanismo poco equo i pescatori locali non riescono ad avere accesso alle
        risorse ittiche. Al centro delle polemiche ci sono le ITQ, le individual transferable quotas,
        delle  quote  che  rendono  di  fatto  la  pesca  in  mare  un  atto  di  privatizzazione  perché
        consentono l’accesso solo a chi può accaparrarsi le tanto ambite quote. Fino al 2008 il
        10%  del  pesce  pescato  nel  mondo  è  stato  gestito  attraverso  le  ITQ.  Le  quote  di  pesca
        individuali sono una delle modalità attraverso cui molti governi regolamentano la quantità
        di  pesce  della  stessa  specie  che  si  può  catturare.  Le  quote  possono  essere  vendute,
        trasferite o prese in affitto. Per quanto le quote ITQ possano essere considerate dai governi
        che le attuano una manovra per controllare la pesca e quindi essere concepite come una
        misura per contenere i danni ambientali, in realtà l’accesso a tali quote provoca la perdita
        del  sostentamento  economico  e  alimentare  delle  comunità  locali.  L’effetto  è  quello  di
        privatizzare  gli  oceani,  promuovendo  la  pesca  industriale  a  scapito  delle  comunità  di
        pescatori locali, che adottano generalmente metodi più sostenibili perché meno invasivi.
        L’Unione  Europea,  il  15  maggio  ha  definito  un  accordo  per  limitare  il  quantitativo  di

        pesce che può essere rigettato in mare, nella speranza di contenere gli sprechi e la pesca
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