Page 27 - Il mostro in tavola
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Come si legge nel IV Rapporto sulla criminalità in Agricoltura del 2011, redatto dalla
        Confederazione italiana agricoltori e dal Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro,
        emerge a conferma dei fatti che uno dei primi reati di cui è colpita l’agricoltura è il furto
        degli animali, il così detto abigeato. Ogni anno infatti spariscono 150.000 animali, la cui
        gran parte è destinata alla macellazione clandestina. Bovini, maiali, cavalli e anche agnelli
        e pecore. Il furto dei cavalli era già stato indicato nel 2011, un anno prima dello scandalo,
        come  uno  dei  furti  maggiormente  frequenti.  Nel  2010  il  corpo  forestale  italiano  aveva
        scoperto un giro di 700 passaporti falsi e un commercio di circa 20 milioni di euro di carne
        di cavallo illegale.

           Chiaramente  il  furto  a  cui  segue  la  macellazione  clandestina  porta  alla  mancata
        tracciabilità delle carni, che possono finire per essere impiegate erroneamente, là dove il
        controllo alla fonte diventa quasi impossibile.

           L’horsegate  è  uno  scandalo,  una  truffa,  se  vogliamo,  un  capitolo  da  chiudere  nella

        speranza che non se ne apra un altro.
           Eppure,  non  finisce  qui.  L’Europa,  a  12  anni  da  uno  degli  scandali  più  scottanti  del
        nostro tempo, decide di far tornare sulle scene dell’agroalimentare un vecchio nemico: le

        farine animali. Ricorderete tutti lo scandalo della mucca pazza, la BSE, l’encefalopatia
        spongiforme  bovina,  collegata  proprio  all’uso  di  farine  animali,  che  per  l’uomo  è  stata
        fatale  (si  contano  ben  225  morti  in  tutto  il  mondo).  Perché  è  successo?  Perché  degli
        erbivori sono stati nutriti con carne animale, e tutto alla luce del sole quindi senza alcuna
        truffa, perché era una pratica legale dato che non si conoscevano ancora i rischi. Dopo
        aver  scoperto  che  la  malattia  dell’encefalopatia  spongiforme  era  collegata  alle  farine
        animali,  l’Europa  ne  vietò  l’uso.  Recentemente  però  l’UE  ha  deciso  nuovamente  di
        permetterne  l’utilizzo,  questa  volta  esclusivamente  per  maiali,  pollame  e  pesci  d’acqua
        dolce. La comunità scientifica europea è convinta che il problema della mucca pazza sia
        nato dall’uso di farine animali provenienti da carcasse infette. Con le recenti disposizioni
        in merito all’uso delle farine pare siano state prese tutte le precauzioni del caso, evitando
        di dare in pasto a bovini e ovini le farine sempre provenienti dalla stessa specie, quindi di

        fatto evitando la trasmissione della BSE.
           Entriamo nel merito. Il dover far ricorso alle farine animali ci deve rendere consapevoli
        di due tristi verità. La prima: non riusciamo più a sostenere la produzione di carne attuale.

        Abbiamo un sistema di allevamento troppo dispendioso in termini energetici, i semplici
        mangimi  evidentemente  non  sono  sufficienti  per  raggiungere  l’adeguato  quantitativo  di
        proteine necessarie alla nostra alimentazione. La seconda: non siamo in grado di creare un
        sistema adeguatamente efficiente, e smaltiamo carcasse di animali producendo il cibo di
        cui ci nutriamo, di fatto con ciò che è lo scarto di un sistema alimentare poco gestibile.

           Prima di nutrire gli animali erbivori con delle farine animali, il problema non esisteva.
        Il fatto è che in natura vige la grande regola del feedback, ovvero del «ritorno di segnale»:
        se nutri male gli animali o le piante di cui ti nutri prima o poi qualcosa può succedere, per
        quanto i tuoi provvedimenti cautelativi possano essere lungimiranti. Un bell’esempio che
        estremizza quanto appena detto. Tra le notizie della cronaca locale, un bel giorno, mi è
        capitato di leggere di un atto criminale in piena regola dove, incredibilmente, dei maiali si
        sono  trasformati  in  «discariche».  A  Mantova,  nel  2012,  sono  stati  ritirati  ben
        duemilatrecento  prosciutti  perché  provenienti  da  stabilimenti  in  cui  i  maiali  venivano
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