Page 23 - Il mostro in tavola
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Amara dolcezza
Lo zucchero che utilizziamo la mattina nel caffè viene estratto dalla barbabietola, ed è
chimicamente conosciuto come saccarosio. Il primo a fare la sua scoperta fu un agronomo
francese, Olivier de Serres, il quale si rese conto che la Beta vulgaris, ovvero la comune
barbabietola, una volta cotta produceva uno sciroppo dolce. L’intuizione dell’agronomo
francese non prese piede e per lungo tempo fu la canna da zucchero a essere la prima fonte
di zucchero. Quando però Napoleone impose i blocchi per le importazioni dello zucchero
di canna, nel 1806, ecco che la bieta divenne nuovamente la prima fonte di zucchero. Oggi
al bar scegliamo tra lo zucchero di canna e lo zucchero di barbabietola, quello bianco per
intenderci. Ma nei prodotti che acquistiamo non sempre ci sono questi due dolcificanti.
Ci sono i dolcificanti artificiali, che sostituiscono il saccarosio. Ad esempio, la
saccarina, l’aspartame, il sucralosio. Sono sempre dolci, anzi più dolci dello «zucchero
classico», ma hanno un contenuto calorico minore. C’è un però: nei prodotti così detti
«senza zucchero» vengono messi altri surrogati detti polioli: maltitolo, xilitolo, sorbitolo.
Anche questi ultimi hanno meno calorie dello zucchero – 1,5 e 3 grammi rispetto ai 4
dello zucchero –, ma le calorie ci sono lo stesso, poche ma ci sono. Il problema è anche
capire quando sono presenti in un alimento semplicemente leggendo l’etichetta: è davvero
un’impresa, perché bisognerebbe conoscere le loro sigle a memoria. Dobbiamo allenarci.
Tra questi, un dolcificante famosissimo, l’aspartame, si può riconoscere dalla sigla con
cui viene indicato: E951. Il motivo per cui l’aspartame è diventato così famoso e di grande
diffusione nei prodotti alimentari è perché risulta essere 180 volte più dolce dello
zucchero. È consumato da più di 70 milioni di americani come si legge nel libro Come si
sbriciola un biscotto di Joe Schwarcz, edito da Tea. L’autore spiega molto bene la
controversia che si lega a questo dolcificante artificiale. Tra i prodotti della
decomposizione dell’aspartame ci sono la fenilalanina, un amminoacido essenziale che a
livelli elevati può indurre danni celebrali, in particolare per i bambini affetti da
fenilchetonuria (una patologia provocata dall’accumulo di amminoacidi nel corpo), i quali
non sono in grado di metabolizzare la fenilalanina: essa si accumula nei tessuti celebrali
raggiungendo dosi davvero pericolose. Per questa ragione nei cibi che contengono
aspartame viene indicato: «Contiene una fonte di fenilalanina» – decreto ministeriale 209
del 26 febbraio 1996 e poi integrato con il 199 del 9 agosto 2005.
Il sucralosio è un altro dolcificante indicato con la sigla E955, 600 volte più dolce del
saccarosio e 4 volte più dolce dell’aspartame.
I dolcificanti artificiali come l’aspartame e il sucralosio sono continuamente nel mirino
delle accuse per essere tacciati come potenziali prodotti nocivi per l’uomo; tuttavia mi
viene da pensare che forse non si sta guardando il problema dal punto di vista corretto.
Che possano essere nocivi è sicuramente uno studio scientifico accurato a doverlo
determinare e non è mio dovere, ovviamente, dare una sentenza definitiva; personalmente,
però, ritengo che il problema di base sia un altro: per quale ragione dobbiamo utilizzare un
dolcificante 600 volte più dolce dello zucchero naturale? Abbiamo forse bisogno di
drogarci di zucchero? Forse nelle nostre vite abbiamo bisogno di più dolcezza? Se un
gusto viene accentuato così tanto forse vogliamo nascondere altri sapori? Oppure è una
questione di marketing? Si compra di più quello che ci piace o che siamo indotti a