Page 18 - Il mostro in tavola
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minimo consentito dalla legge, ovvero il 12%. Si potrebbe dire tranquillamente: «Tutto
fuorché la frutta!». Per queste ragioni, visto che nei succhi la frutta cominciava a essere
una grande assente ingiustificata, nel 2012 un Decreto Legge ha stabilito di aumentare le
dosi minime a un tetto del 20%. Una piccola vittoria però ancora lontana dal rendere
giustizia a quel succo che ancora oggi viene difficile dire che sia realizzato «con la frutta».
La legge che regolamentava la quantità di frutta era vecchia di oltre 50 anni, basata su una
legge del 1961, dove si stabiliva che le bevande al gusto di agrumi potevano contenere
minimo il 12% di vero succo di frutta.
Una scelta di questo genere ha scatenato sentimenti contrastanti, e da queste vicende si
possono capire molte cose su quanto oggi il cibo possa definirsi centro delle dinamiche
economiche di una molteplicità di soggetti che ruotano intorno a un sistema ben più
grande di quello che noi consumatori riusciamo a immaginare. Dopo il decreto del 2012,
da una parte vi era l’esaltazione degli agricoltori rimasti soddisfatti, prevedendo un
aumento della produzione di ben 200 milioni di kg di arance in più all’anno, 10.000 ettari
in più, qualcosa come ventimila campi da calcio tra Sicilia e Calabria. Dall’altra, invece,
le aziende produttrici delle bevande «al gusto di» si sono preoccupate per gli effetti
negativi che avrebbero potuto generare quantità tali di frutta, in grado, secondo gli addetti
ai lavori, di modificare addirittura il sapore delle bevande, compromettendo l’integrità di
quell’equazione alchemica che simula così bene l’arancia da rischiare di perdere quel suo
sapore così perfetto per colpa della frutta di arancia. L’aumento della quantità di succo di
arancia ha fatto tremare l’impero delle bevande dolci, forte di oltre 900 milioni di litri
all’anno di «succhi al gusto di». Ma non finisce qui, qualcun altro teme che le piccole
aziende di trasformazione alimentare possano subire un tracollo economico proprio a
causa dei costi da sostenere per reperire la materia prima, i cui prezzi continuano ad
aumentare. Ma dietro tali questioni si nasconde un’amara verità: oltre all’aumento del
quantitativo di succo di vera frutta da utilizzare, un altro nodo dolente è la questione etica.
La frutta raccolta nei campi viene pagata sempre meno, in modo da poter stare dentro ai
costi di produzione: in media 27 centesimi al kg, arrivando addirittura a dei minimi di 10
centesimi, cifre che non coprono il costo reale del lavoro. Tutto questo può produrre due
effetti, da una parte gli agricoltori si sentono costretti ad abbandonare i frutti delle loro
fatiche nei campi, dall’altra si può giungere alla peggiore delle soluzioni: il lavoro nero.
Basta parlare di Rosarno e subito vengono in mente le ormai tristi e famose immagini che
hanno fatto il giro del mondo, che però purtroppo sono la drammatica realtà di molti altri
luoghi.
A partire dalla responsabilità etica, nasce poi uno strano caso, tutto da decifrare. Una
nota azienda di bevande gassate, dopo i risultati di un’inchiesta che la vedeva coinvolta
nell’acquisto dei prodotti provenienti proprio da quei campi incriminati, decise di non
acquistare più lì la frutta, scatenando la protesta delle amministrazioni locali, le quali
accusarono la multinazionale di aver attentato alla stabilità economica locale. Chiaramente
la notizia ha fatto il giro dei media e nella confusione è emerso tutto e il contrario di tutto.
Questa storia racconta la complessità di che cosa si nasconde negli ingredienti dei nostri
alimenti, il tutto partendo dalla sola analisi di un paio di dettagli scritti sull’etichetta.