Page 72 - La cucina del riso
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Piemonte




                 TANTE VARIETÀ NELLE CAPITALI DEL RISO


                     Nella  provincia  di  Vercelli  è  particolarmente  apprezzato  il  riso  di
                 “Baraggia”, l’area pedemontana che dalle Prealpi del Monte Rosa degrada
                 dolcemente fino alla periferia del capoluogo. L’area suddetta viene chia-
                 mata “Baraggia biellese e vercellese” perché si estende tra il fiume Sesia,
                 il torrente Elvo, e la strada statale Biella-Gattinara. La zona di produzione
                 comprende 28 comuni e Buronzo viene definita “capitale della Baraggia”: è
                 il territorio di coltivazione del riso più a Nord d’Europa.
                     Il clima risulta differente rispetto a quello della tipica pianura vercellese:
                 più freddo e più ricco di precipitazioni piovose. In passato la Baraggia era sino-
                 nimo di terra ostinata e difficile da irrigare (le fonti medievali descrivono que-
                 sto territorio come segnato dall’incolto). Le moderne tecniche agricole hanno
                 trasformato, nel corso di due secoli, l’ostilità di questi campi (grazie all’acqua
                 che deriva dal Monte Rosa e dal canale voluto da Camillo Benso di Cavour) in
                 un terreno adatto alla coltivazione del cereale più utilizzato al mondo.
                     Sebbene  il  chicco  di  questo  territorio  abbia  minori  dimensioni,  per
                 volume e peso, rispetto a quello di altre zone di identica varietà, la Comu-
                 nità Europea ha riconosciuto il marchio Dop al riso di “Baraggia biellese e
                 vercellese” per le sue peculiarità merceologiche e nutrizionali, per la tenuta



                                          riso iN ErEDità

                     Nelle valli alpine del Canavese, vi era l’usanza di offrire il riso ai partecipan-
                     ti ai riti funebri: si preparava per parenti, amici e poveri del paese un gran
                     minestrone di riso cotto in un’enorme caldaia, destinata dal Comune proprio
                     a quest’uso. Nelle Valli di Lanzo, invece, era d’uso offrire il risotto quando si
                     assumevano lavoranti a giornata o quando si festeggiava il “ferragosto della
                     casa”, cioè quando si concludevano i lavori di costruzione di un’abitazione.
                     Notizie  sulle  consuetudini  alimentari  nelle  zone  montane  sono  ricavabi-
                     li anche dai testamenti. ad esempio, nel testamento del 22 ottobre 1763
                     di Giuseppe riva rosso di Viù, nelle Valli di Lanzo, a favore della moglie
                     Giovanna maria rossetto, era stabilita, oltre all’usufrutto delle proprietà, una
                     “pensione” annua in natura, a carico degli eredi, che comprendeva tra l’altro
                     una emina di riso (18 kg).





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