Page 251 - La cucina del riso
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Lazio
pure er posto del primo piatto”. Anche il cinema non ha dimenticato di
immortalare i profumati supplì e li ha inseriti nei film dove il ceto popolare
più bisognoso li mangiava per sfamarsi in modo economico e veloce. Basta
ricordare le immagini del film “La parmigiana”, dove Nino Manfredi è dispo-
sto a scendere a compromessi, pur di poter soddisfare la sua voglia di supplì.
NELLA CUCINA GIUDAICO-ROMANESCA
È noto lo stretto rapporto esistente fra la cucina giudaica e quella
romanesca, e le influenze trasmesse dalla cucina ebraica a quella romana
valgono anche per la cucina del riso.
Secondo quanto fa rilevare Ariel Toaf, le pietanze con il riso, nella
cucina ebraica a Roma, non erano nei tempi passati e non sono oggi, mol-
to numerose. Anche nel periodo in cui gli ebrei a Roma hanno sofferto
grandi privazioni e vissuto momenti di grave indigenza, il riso non era
presente in tavola in una grande varietà di pietanze.
Fin dal 1500, era ingrediente della minestra di riso con lo zibibbo e
le mandorle, del riso con latte, della minestra di riso con brodo di gal-
lina. Nell’Ottocento, le minestre si arricchiscono con verdure, legumi e
carni, come era accaduto anche presso la cucina romana: quindi troviamo
la minestra di riso e ceci, di fave, la minestra di riso in brodo di pollo e
di gallinaccio, ma anche il risotto di regaglie per il “Tu Bi Shavate”; il
risotto coi piselli per il “Purim”; per la festa del “Sukkoth”, la minestra
di rape e riso.
Per la festa del Sabato, lo “Shabbath”, veniva servito il “piatto cal-
do” che non includeva la presenza del riso. Nella cucina ebraica, a Roma,
invece, il riso era ed è consentito servirlo in questo giorno ancora oggi,
e quindi, il sabato, si offre la minestra di riso in brodo con cannella o le
boccette in brodo, che sono polpette di carne lessa tritata e riso, oppure
minestre di riso e ceci, o fagioli, o lenticchie.
Sempre per la festa del Sabato, esiste una poesia in dialetto roma-
nesco, O pranzo d’‘oo Sciabbadde, scritta dal poeta ebreo Crescenzo del
Monte, nella raccolta del 1925, che tratta proprio del riso “Bottarga: rizzo
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