Page 172 - La cucina del riso
P. 172

Friuli-Venezia Giulia




                     In  una  città  dai  tanti  e  diversi  influssi  gastronomici,  ma  soprattutto
                 vocata al mare, sono naturalmente e da sempre i risotti di pesci, molluschi
                 e crostacei a farla da padrone. Sono ampiamente descritti in tutti i ricetta-
                 ri locali a partire da La Cucina Triestina di Maria Stelvio, del 1927, e in
                 particolare in Trieste in cucina, di Cesare Fonda, il maggior cultore delle
                 origini e tipicità delle preparazioni locali. L’autore sottolinea le principali
                 caratteristiche dei “risoti nostrani”: siano di pesce, ma anche di verdure o
                 carni, in cottura e anche nell’eventuale mantecatura, si impiega quasi sem-
                 pre l’olio, a differenza di altre regioni del Nord, dove come condimento
                 viene usato il burro. Si tratta inoltre per lo più di risotti “in bianco”, senza
                 l’aggiunta di pomodoro. Se si usano i molluschi questi vengono sempre
                 tutti estratti dai loro gusci e in parte tritati nel soffritto. In alcuni risotti di
                 mare “malgrado il parere contrario dei puristi, un po’ di parmigiano, ma
                 mai troppo, non guasta”. Tra più consueti il risotto con i “caperozoli”, da
                 preferire sempre, quando disponibili, alle vongole veraci per tracciabilità e
                 sapore, piatto caratteristico della vigilia di Natale, e quello alla marinara.
                 Fatto con un misto di pesci, crostacei e molluschi, secondo stagione e mer-
                 cato, non manca mai nei luoghi di ristoro della città dedicati alla cucina di
                 mare. Molto apprezzati anche i risotti con i “pedoci” (cozze), di cui estesi
                 impianti di allevamento sono presenti nel golfo già dagli inizi del 1700,
                 con gli scampi, con i “dondoli” (tartufi di mare), con i canestrelli e con le
                 “canocie”, di profumo e sapore delicato. Quello con la granceola, ottimo,
                 è di più rara preparazione per la pazienza e i lunghi tempi che richiede
                 l’estrazione delle polpe di questo crostaceo. Del risotto con grancipori for-
                 nisce una colorita descrizione Francesco Babudri in All’insegna del Buon
                 Gusto nelle Tradizioni Giuliane, del 1931: “Si lava il crostaceo con una
                 spazzola, indi lo si spacca per metà: lo si pone a cuocere, entro una padella,
                 e quando diventa rosso, si aggiunge acqua a discrezione; a giusta bollitura,
                 vi si mette a cuocere il riso e si avrà un risotto, che l’Istriano afferma capace
                 di far risuscitare i morti, e sottrarli all’ultimo giudizio”. Anche da un buon
                 brodetto di pesci misti, afferma l’autore, aggiungendo il riso, si può ricavare
                 un risotto “davanti al quale anche Socrate divino si inginocchierebbe”. Lo
                 stretto legame riso-pesce è dimostrato anche dal fatto che in alcune famiglie
                 triestine è ancora oggi consuetudine preparare il riso in brodo di pesce,



                Itinerari di Cultura Gastronomica                                        171
   167   168   169   170   171   172   173   174   175   176   177