Page 170 - La cucina del riso
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Friuli-Venezia Giulia
Mussa Vernacola
Un tenp un bon udor la bavisela Un tempo un profumo la brezza leggera
sufiava su de la marina cara soffiava dalla marina cara
ma adesso con le risaie, questa è bella,
ma dès cu’i risi, questa la é bela,
arriva una puzza molto rara.
vien su una spussa che l’é propio rara.
Non mi hanno voluto ascoltare
No i à vulù scoltarme co diseuo
quando ripetevo di non coltivare il
de no piantar quei risi ta ’l paludo riso nella palude e i ricchi, quando mi
e i siori quando che mi lazò andeuo recavo laggiù, mi facevano scappare
i me feva scanpar como un por gudo come un povero pesce per cercare di
par guantarme de bot in ta la nassa. farmi poi finire nella rete.
Ma io con arte disfacevo la matassa
Ma mi cun arte desfauo la madassa
scrivendo a Gorizia le ragioni
scrivendoghe a Gurizia le reson
che però non sono servite,
che no le à valù, parché al paron
perché il padrone alla fine è sempre lui
l’é senpre lu che al vinze e intant al por a vincere perché il povero
al à magnà le vache e al so lavor. ha perduto le mucche e il suo lavoro.
Leonardo Brumati, 1837
sulle tavole da tRieste a goRizia
La propensione dei triestini al commercio e all’uso del riso, in alcune
preparazioni gastronomiche, è testimoniata dalla costruzione, nel 1913, di
un complesso di edifici destinati alla pilatura dei grandi quantitativi che arri-
vavano in porto, con le navi del Lloyd Austriaco, soprattutto dalla Birmania.
Lo stabilimento, denominato Risiera, è diventato poi, durante la Seconda
guerra mondiale, tristemente noto (San Saba) come sede del primo e unico
campo di sterminio nazista in Italia, ed è oggi monumento nazionale. In un
vecchio testo intitolato Portata dei bastimenti arrivati nel Porto-Franco di
Trieste nell’anno 1840, della tipografia Coletti, sono documentate numerose
Itinerari di Cultura Gastronomica 169