Page 169 - La cucina del riso
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Friuli-Venezia Giulia




               “Danno le risaie di Monfalcone e di Aquileia un prodotto medio annuo di
               circa 26.000 Ettol. di riso, i quali rappresentano un valore di circa II. L.
               414.960, da cui però voglionsi dedurre le spese di coltivazione, che appari-
               scono di qualche rilievo”.
                    Il trattato del barone von Czoernig, nella tabella sinottica dei prodotti
               dell’agricoltura, cita una produzione di riso pari a 42.000 metadelle. La
               metadella  (metze)  è  un’antica  misura  di  capacità,  che  varia  a  seconda
               dei paesi. In Sassonia equivaleva a 6 litri. Paragonata alla produzione di
               frumento (160.000) e di granoturco (289.000) si può affermare che, pur
               residuale, l’incidenza percentuale della produzione di riso, confrontata con
               mais e frumento, rispetto alle vicine contrade friulane, era ben superiore. Le
               risaie erano situate in “bisiacheria”, ossia nel territorio della sinistra Isonzo
               e del Monfalconese. In particolare nel Comune di Staranzano, esiste una
               “Località della Risaia”, perché in quella zona, prima delle bonifiche portate
               a termine nell’epoca fascista, era stata avviata la coltivazione del riso.
                    Notevoli esperimenti furono effettuati nel Friuli orientale anche con
               il  riso  di  montagna  (da  qualcuno  denominato  riso  precoce)  nel  1829.
               A Gorizia, dal colonnello Cattinelli su piccoli vasi, e a Bagnaria dal conte
               Giuseppe Strassoldo. “Una risaja fu messa a riso comune il 29 aprile 1829,
               tranne una piccola parte di essa dove si seminò l’istesso giorno del riso di
               montagna. Le due specie furono trattate nell’istessissima maniera durante
               la loro vegetazione. La nuova specie di riso era matura il 30 d’agosto, il riso
               comune non maturò che il 1° di ottobre; la prima sarebbe stata matura anche
               qualche giorni avanti, se non fosse stata messa nella esposizione più fredda,
               cioè nel luogo dove l’acqua arriva dal canale per irrigare il campo, e dove,
               negli anni ordinarii, l’altro riso non matura compiutamente, e qualche volta
               persino non fa spiga”. Esordio promettente, che ebbe però scarso seguito.
                    Agguerrita sempre l’opposizione. Se ne può intendere l’eco da uno
               scritto in versi di Leonardo Brumati (Ronchi dei Legionari, 1774 - 1855),
               abate, botanico e poeta in dialeto bisiac.
                    L’autore si sfoga con i ricchi possidenti che avevano tentato, contro il
               suo parere di esperto e con nessun successo, la coltivazione del riso cinese
               o a secco, rovinando la povera gente di San Canziano e di Staranzano e
               portando le zone malsane a ridosso dei paesi.



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