Page 36 - Vita di Lionardo Vigo
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       dezze,  i n evitabi l i   ne'  collegi,  erano  nel  Calasanzio  la  metà  del
       Curelliano,  il  decimo  dell'  Oratorio,  che  veramente  p r ovocava  I'
       asfalto  e  il  bicume  della  Pentapoli.
         Non  posso  perdonare  al  rettore  i l   sistema  di  fa  r ci  confessare
       con  sacerdoti  estrane i ,   scelti  senza  scelta,  e  di  p u n i r ci  q u ante
       volte  non  ci  accostavamo  al  sacramen to  dcl i '    eucarestia.
       Confessore de' grandi  era  un  Padre  don Antonino, cerca figura  di
       vecchio  lenone,  gobba.  macilenta.  f e tida,  storpia,  capelli  grigi,
       occhietti  neri  stanchi  allora  l u ssuriosi  in  gioventù; vestiva  una  fac­
       chi n accia  logora  e  un  f e rraiuolo  eredi t ato  credo  da  Filippo  da
       Narni ,   e  sotto  si  affibbiava  un  paio  di  berrnle  di  cuoio.  che  mo­
       destamente  chiamava  saccoccie.  Costui  ci  visitava  ogni  due  sa­
       bati,  sedeva  nel  corridore  rimpetto  la  porta  della  camerata,  e  lì
       come  il  M  i nos  di  Dante  ci  confessavamo  I'  unico  peccato  di  cui
       rutti eravamo  in  colpa e  sempre.  Il  Rettore  passeggiava  nell'  om­
       bra  in  fondo  i n   fo  n do  del  corridore,  non  udiva, vedeva,  e  da  lì  ci
       sgomentava  rutti. I l   Padre Don Antonino al vedersi d '   i n n anzi  uno
       di  noi  1 6 ,  ci chiedeva  di  t u tti  i  nostri parenti,  e  primo  della  ma­
       dre  e  del  padre.  e  in 3  anni non  potè  ficcargli  nel  cranio  mia  ma­
       dre  esser  morra  ed  io  o r fano;  quindi  ci  chiedeva  tarì  2  per  una
       messa,  e  qui  nasceva  u n   dialogo  di  scaltrezza  tra  il  confessore,
       che volea  rubarci,  e  noi  che gli sfuggivamo  di sotto;  se  non erano
       tarì 2,  dopo un q u arto  d'  ora di  liti  si contentava  di  grana  1 0 , e se
       non  erano  danari,  di  fichi  secchi,  di  castagne,  di  mandorle,  di  un
       pezzo  di  gelatina  e  sin'  anco  di  carciofi  e  fi n occh i ,   e  rutto  inta­
       scava nelle  bertole e  queste piene nel  fazzoletto  di  naso.  L'  assolu­
       zione  si  misurava  dal  dono,  e  se  q u alche  diavolaccio  non  dava
       nulla  o  poco,  era  frino  e  rifritto:  il  Confessore  alzava  la  voce,  i l
       Rerrore  tossiva  e  dimenavasi  come  la  fanrasima,  e  quegli  aggiun­
       geva,  come  se  cantasse:  non posso  assolvere simili peccati,  e  scac­
       ciava  il  penitente;  il  giovinetto  non  potea  farsi  la  comunione  I '
       indomani ,   e  il  Rettore  l o   maltrattava  nel  Refettorio  alla  presenza
       di  rutta  la  comunità:  perciò  non  c'  era  rimedio,  dovevamo  farci
       pelare  da  quel  Malebranche.  Il  prefettino solo  che sapea  tutto  ta-
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