Page 27 - Vita di Lionardo Vigo
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E i suoi tempi 85
spiaggia arenosa e d i serta; era di domenica e il cielo uno spec
chio di cristallo; ivi giunri alla mia insaputa cavarono u n a buca di
oltre 6 palmi, la ricopersero. e quindi ci messimo rutti a giocare
ali' Orvu giuvineddu, q u ando fui bendato io. mi condussero nella
trappola, e lì caduto fui per morire dallo spavento non parendo
comprendere ove mi fossi. e nulla potendo vedere perchè ben
dato, e non potendomi sbendare perchè mi reneano screcce le
braccia. Io mi d i vincolava i n vano, ed essi rurri, parte mi dava pu
gni, parte mi ammonticchiava arena di sopra , sicchè restai se
polto con solo la cesta di fuori. e allora mi aprirono gli occhi, e a'
coro m' i n t o n arono l ' odiato: Bannu e cuman n amentu etc. Il
Capo-camera o davvero o per fi n zione ten t ò di d i f endermi aiu
tato dal cameriere, ma o non vollero o non riuscì loro. lo tornai a
casa ben concio, ricorsi invano al Rerrore, e vidi chiaramcnce es
sermi impossibile convivere oltre con gente di puro sangue, per
cui quanc.lo potei far uso delle mie gambe, me ne fuggii in Aci.
Mio padre parte credette e parte no di quanto gli narrai, i miei
zii dissero esser tutto menzogna e I' i n d omani fui ritornato al
Collegio; ma siccome per me era q u ello divenu t o un ergastolo,
ed io non isrudiava p i ù nulla di n u lla, il Rettore, il lettore, il
Capo-camera non era castigo che mi risparmiassero, e quasi erano
per espellermi come i n d i sciplinabile, q u ando mio padre preferì
di richiamarmi a casa, e così lasciai una carcere ov' era crocifisso
dagli estranei. per passare in u n ' altra ove mi crocifiggevano i
consanguinei. D u e sole consolazio n i aleggiarono in quel tempo i
miei dolori, la prima si fu lo scarabocchiare i l poema sopra cen
na to di Ugiero il Danese. il tradu r re la q u arta egloga di
Virgilio, occupazione dolcissima nella quale q u ando era im
merso, d i m enticava il Bann u e Cumannamentu, il Romito. i
Convittori di puro sangue e le gare di Aci e Carania ; la seconda
era una cardellina I' u n ico essere animato che non mi tenesse per
iloro o per paria, essa mi s' era tan t o domescicaca da distinguere
la mia voce, da ricevere il cibo dalle mie mani , e da uscirne la
manina .alla campagna; e tornare nella gabbia sull' imbrunire.