Page 22 - Vita di Lionardo Vigo
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         Dovevamo  confessarci  a  un  sacerdote  e  inoltre  a  u n   secolare  ben
        affetto  al  Padre  don  Salvatore.  i l   q u ale  adempiva  uffìzio  di  pre­
        fetto  di  polizia.  Così  ci  demoralizzavamo  completame n t e
        anima e  corpo.  Non  esiste,  nè p u ò  esistere  una cancrena  maggiore
        e  peggiore  dell'Oratorio  di  Aci.  Quando  gli  eredi  e  successori
        del  Padre  don  Salvatore  e  del  Padre  don  Clemen t e  leggeranno
        q u este  pagine.  conosceranno  ch' i o  non  solo  ho  detto  il  vero,  ma
        qualche  cosa  meno  del  vero,  ma  non  lo  con f esseran n o,  nè  io
        chiedo  la  loro  testimonianza.  soltan t o  li  consiglio  a  non  doler­
        sene,  ma a  correggersi  se  ancora i n   q u el tempo avranno affìdata  la
        gioventù,  ch'è  la  vera  pubblica  speranza  della  patria.  e  a  non  te­
        nersi  per offesi  di  svelato  segrero.  essendo  a  com  u nal  conoscenza
        le  cose  sopra  derce,  e  non  avendo  io  riguardo  a  me  stesso,  anzi.
         come  innanzi a  Dio  con f essando  rune  le  mie colpe.  non posso.  nè
         devo,  nè  voglio  usarne  per alui.  quando  può  tornar  urile  la  chia­
        rezza.  com 'è  nel caso  presente.  Per  me  fu  bene  il  trovarmi  presso
        il  Padre  don  Clemente,  ove  la  corruzione era  m  i n ore.  dimoran­
        dovi  pochi  e  tuni  ben  nari:  menrre  nel  Collegio  oltre  i
        Convittori  eh 'erano  presso  a  50, affluivano.  come  vi  affluis c ono
        ogni  sorra  di  gentaglia  da mua la  città,  e  da  rune  le  montagne  e
         da·  paesi  vicin i   e  lon t !lni  e  perfin o   ven ' e r ano  d i   Calabria  e
        Salerno:  una vera Arca,  nella q u ale  non  mancava  nè  il  tigre,  nè  la
        vipera.  lvi  dimorai  sino  la  1 8 1 1   e  ne  uscii  q u asi  sbandito,  come
        insuscettibile e  indisciplinabile,  e  vieppiù si  confermò  la  fama  di
        cui  mi  avean  dorato  i  miei  pierosi  consanguinei.  M  i o   padre  n'era
        afflitto  oltremodo,  e  n o n   sapea  cosa  farsi  di  me.  come  fossi  un
        cattivo  mobile.  Tornai  in  casa  dove  trovai  il  cugino  Narduzzo
        cresciuto.  idolatrato,  e  le  mie  umiliazioni  furon o   a  m  i lle  doppi
        maggiori.  Già la  zia  M  a ria erasi  maritata  a  Paolo  Permisi.  com'è
        stato  detto .  la  zia  Agata  avea  sposato  i l   b a r o n e   N  i ccolò
        M  u smeci.  Giuseppa,  che  sola restava  n u b i l e  era q u asi  mia  coeta­
         nea  e  non  poteva  servirmi  di  scudo:  n o n   avea  altro  riparo  che
        uscire  di  casa  novellameme  o  gerrarmi  da  un  balcone.  Le  premi­
        nenze  accordate  al c u gino  carito  (sic) ,  l'odio  dello  zio  Giovanni
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