Page 20 - Vita di Lionardo Vigo
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        mansuera  f e rocia  p r etesca.  Giorni  prima  avea  avuto  un'altra  ba­
        ruffa  col  Padre  don  Clemente,  e  però  mi  trovai  in  poco  malviso
        ad  enrrambi  i  m  i ei superiori.  La  p r ima  sera  quando  cenai  presso
        l'ex  marinaro  educatore  sedemmo  ad  unica  tavola  i  convitrori  e
        le  riverenze  loro ,   i m  b an d irono  unico  p i atto  d'insalara  cruda  e
        tutri  mangiavamo  i n   comune  come  a'  tempi  de'  patriarchi;  io
        ramo perché aborro lacero, ramo per quel modo a  cui  non era av­
        vezzo.  non  volli  partecipare  al  pasro  schifoso.  t:  quando  vidi  ser­
        bare  in  un  o r cio  il  residuo  dell'olio  e  dell'acero  sovranzato,  fui
        per  recere,  e  come  un  fu  r etro,  mi  contentai  di  pane  e  cacio.
        Quesr'atto  mio  d'insolira  politezza.  e  qualche parola  scappatami
        su'  loro  modi  da caverna.  mi  f e '  perdere  la  buona grazia  de'  due
        reverendi  maiali.  ma  p r odusse  il  bene  che  d'allo r a  in  poi  ne  da­
        vano  a  mangiare  a  due  o  tre  per  piatto.  cd  io  scelsi  a  socio
        Mariano  F i orini.  il  p i t 1  gentile  fra  tutti.  Così  ranto  l'Amico,
        quanro  il  Dc  Martino  deliberano di  maturarmi  e  farmi  maturare
        gli  spiriti  rigogliosi a  legnate:  ad ogni  nonnulla io  ne  avea  a  iosa.
        e  non  contenti  a  q u esto  mi  faceano  digiunare.  il  che  era  econo­
        mico,  e  mettevano  in  berlina,  e  mi  obbligavano  a  strisciare  la
        lingua  per  terra  sul  pavimenro  il  meno  per  mezzacanna.  Or vedi
        se  un  ragazzetto  così  trarraro  può  studiare  !  e  gl' insensati  m' im­
        poneano lo studio  come condanna  !  lo  non avea  rifugio:  la fami­
        glia  era  tro m  ba  echeggian t e  delle  mie  pessi m  e   q u a l i t à .   il
         Preposi t o  Amico .   il  Padre  don  Clemente  esageravano  e  con f er­
         mavano,  quanti eran  maestri  ripetevano  (e  quesri  soli  avevan  ra­
        gione) ,  e  la  cirrà  credea  e  mi  compiangea  in  me  come  fanciullo
        di  pessima  riuscita.  Nelle  scuole  poi  era  uno spasso:  il  domine ci
        assegnava  parecchie  linee  di  grammatica  latina  (e q u asi  r u tti  non
        sapevano  leggere.  io  certo  non sapea),  e  così  senza spiegarla,  l ' i n ­
        domani  ci  chiamava  a  ripetere.  Al  primo  sbaglio.  eh' era  alla
         prima  parola.  nasceva  il  seguente  dialogo  - Domine  Apparate  -
         Viga  apriva  la  mano e  se gli  n u meravano  tra  una a  tre  foriate,  gu­
        stosissime  molto  p i t 1  i n   tempo  di  geli.  Alla  secon d a  parola  -
        Apparate-,  e  si  replicava  la  solfa:  e  poscia  che  le  mani erano  dive-
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