Page 25 - Vita di Lionardo Vigo
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E i suoi tempi                     83


        mi  recava  ad i n chinarlo  nella  sua villetta al  Borgo,  piangendo  en­
        trambi  egli  di  concento,  io  di  gratitudi n e  restavamo  lungamente
        abbracciati,  e  mai  lo  baciai  per  la  faccia,  se  non  prima  gli  avessi
        baciata  quella  destra  che  mi  add[rò  i  sacrarii  della  sapienza.
          Ma  nella  camerarn  e  fra'  miei  convitto r i,  io  non  ero  altro  che
        acitano, e questa parola suonava dispregio e  anatema.  Com'  è noto
        Aci  e  Galarea  e  Catania  per  vari  secoli  si  odiaro n o ,  ma  fì n al­
        mence, come disse un vivente:
           Dell'  errore  è  disgombra  I'  eclisse,
           Della l u ce è  risona  I'  erà;
           allora  quell'  odio  era  nel  suo  apogeo.  Tempio  scriveva  il  suo
        lepidissimo  Aci in Pretesa,  un  romito  di  quella  chiesiuola  eh'  è
        accosto  S.  Domenico  di  Fuo r i  per  le p i azze  e  pe'  rrivii sommuo­
        veva  il  popolo  i n   modo  b u ffonesco  gridando  come  un  pubblico
        banditore:  Bannu e cumannamentu di l' illustrissimu Senatu d i jaci.
        cui caca e piscia arretu la Matrici, etc.  etc . . .   nobili e  plebei,  dotti
        e  i n docci deridevano  a gara gli  acitani: costoro  un bel  mattino  f e ­
        cero  trovare  il  D  i otaro  con  sopra  un  basco e  coverco  di  un  manto
        nero:  i  catanesi  arraffarono u n   acitano e  lo marchiarono,  come  ca­
        vallo.  Intanto  in  Parlamento  si  agitava  la  quistione  se  Aci  do­
        vesse  essere  o  pur  no  Capo  discretto,  e  memorie  in  istampa  pre­
        sentannsi  da  parte  di  quel  com  u ne,  e  libere allora  essendo  la pa­
        rola  e  la  stampa,  n o n   era  modo  alle  con m  melie  dal! '   una  e  dal!'
        altra  parte.  Iliacos intra muros peccatur et extra.
           Io  di  carattere  tenace,  amamissimo del  proprio  n i do,  e  che  non
        ho  mai  conosciuto  pericol o .   nè contato  gli  avversarii ,   non  porea
         rollerare  i  motreggi  de'  miei  compagni .   Essi  faceano  ven i r e  i n
         Collegio,  e  chiamavano  q u ando  c ' i n c o n trava  al  passeggio  i l
         Ramiro  succennato,  e  quando  egli  cominciava  ad  i m  i t are  con  la
         bocca il  suono del  tamburo, e  ben p r ima d'  intonare:  Bannu e  cu­
         man narnen t u   etc.,  io  già  gli  era  addosso,  e  lo  graffiava  non  po­
         tendo  altro,  e  dava  e  riceveva  b u sse  da'  miei  camerata.  Il  Capo­
        camera  fingea  di  proteggermi,  ma  era  della  partita  e  non  potea
        sgozzarmi ,   perchè  gli  avendo  farro  tutti  di  accordo  qualche
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