Page 12 - Vita di Lionardo Vigo
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         porea  respirare,  s i   fa  r ramente  da  tirar  le  lagrime  a  chiunque.  il
         fratello  Salvatore  saltava  ilare  per  le  s r anze  gridando:  Otto  e
         mezzo,  otto  e  mezzo! Ma  quella  visse,  le  dovettero  pagar  la  dote,
         e  rimasero  nove.  Così  io  rimasi  sono  i l   cerro  avico  altri  cinque
         anni  protetto  dalla  b u ona mia nonna, amarissimo dalle sue  figlie
         f e mine,  che  mi  tenner  l u ogo  di madri, esoso a  Lorenzo.  che  arri­
         fiziosamente sapea  fingere,  e  p i ù   a  Giovann i   di  l u i   braccio,  che
         con  modi  rusticani  m  i   martirizzava:  il  misero  mio  padre  per  la
         scarsezza  della  sua  dotazione  dovea  soffrire.  e  mangiar  pan  ma­
         ledetto.  In  quelli  cinq u e  anni io  pati i   cali  e  tanti crucii  e  insulti  e
         umiliazion i .   che  non  una,  non  due,  ma  le  cento  volte  invidiai  la
         sorte  de'  cani  della  casa,  e  p r egai  Dio  di  farmi  cane.  Il  solo
         aspetto  dello  zio  G  i ova n n i .   i l   solo  guardargli  q u egli  occhi  per
                      Ì
         me  sempre  m naccevol i   e  torvi,  il  s u ono  della  voce  di  quel  mio
         carnefice,  mi faceano basire: se lo sognava nel sonno non porca più
         dormire,  e  perciò  l'odiava  come  Satanasso.  Un  giorno  in cui  non
         potè  nuocermi  per  n u lla,  che  non  porè  escogitare  p r etesto  per
         farmi  male,  mi strinse  fra le  ginocchia  e  con  un  ferro mi  traforò
         le  orecchie.  Questa  fu  la  sola  volta  che  m  i   coccasse  con  le  amo­
         rose sue mani!
            E  come se  a  ministro avesse  avuto  il diavolo,  non  era  disgrazia
         che  non  m'incogliessc.  Un  giorno  mi  affaccio  al  balcone  di  cen­
         tro  del  nostro  palagio,  era  spazioso  e  ricco,  ma  nel  centro  eravi
         una  buca;  lì  m'incespica  il  p i ede e  cadendo  dò  la  fronte sopra  un
         f e rro  anguloso  dell'inferriata  e  mi apro  la  fronte,  ed  ancora  se  ne
         vede  la  margine  sul  sopraciglio  sinistro.  Un  altro  giorno  le  mie
         dolcissime  zie  Maria  ed  A.gara  dovendo  accudire  ad  un 'incom­
         benza domestica,  mi  posarono enrro  una grande e vuota cassa,  poi
         mi sollevarono  di  peso  raccogliendomi  nelle loro  braccia;  era nel
               ·
         fondo della  cassa  un  chiodo  ritorto  a  guisa  d'uncino,  q uesro
         chiodo  casualmenr e   stava  sul  mio  scroto,  sicché  nel  rialzarmi  le
         inconsapevoli  donne,  me  lo squarciò  in  due. Alle  mie  grida  acu­
         tissime.  alla  vista  del  sungue,  che  fluiva  abbondante  furono  per
         morire.  Il male fu  grave.  ma  minore  di quanto  appariva;  il  raglio
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