Page 90 - Sotto il velame
P. 90
come falso veder bestia, quand'ombra.
Ora e Dante nella selva e gl'ignavi nella vita questo fecero conti-
nuamente, e in questo somigliarono a bestie ombrose, che vede-
vano ciò che non era e ciò che era non vedevano: onde nulla quel-
li mai operarono, e nulla avrebbe operato esso, se infine non
avesse passato la selva e quetato un poco la paura del cuore, cioè
l'irresolutezza dell'appetito che fugge e caccia. Ben altrimenti si
condusse quell'Enea, che Dante dice di non essere: «Io non
203
Enea...». Quegli, esempio di nobiltà, cioè di non viltà , per quel-
lo spronare dell'animo, «sostenne solo con Sibilla a entrare nello
Inferno». Ma Dante per le parole e per il lieto viso di Virgilio si
conforta. La viltà muore. Egli entra nel vestibolo dove è la viltà
assoluta. Il maestro gli aveva detto :
204
non ragioniam di lor ma guarda e passa.
Questa è come la catarsi del suo errore nella selva. Egli guarda e
passa, tra persone delle quali alcune riconosce e non nomina, alle
quali sarebbe stato simile se nella selva fosse rimasto. E vede e
conosce l'ombra d'uno che fece un rifiuto grande quale egli avreb-
be fatto, se per i conforti del maestro non avesse cacciata dal cuo-
re e non avesse uccisa, mortificata, la viltà.
Giunge, guardando e passando, all'Acheronte. Caron lo respin-
ge, e prima sembra confonderlo con gli sciaurati del vestibolo
che, essendo ancora misticamente vivi della loro cieca vita, egli
non può prendere nella sua nave. Poi, vedendo che non si allonta-
nava, che non si partiva, che non andava tra gli esclusi dalla se-
conda morte, vedendo forse in ciò un segno insolito di nobiltà
(non viltà), comprende che la sua vita è d'altro genere. E gli dice:
Per altra via, per altri porti
203 Conv. IV 26.
204 Inf. III 51.
90