Page 426 - Sotto il velame
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Dante, quando scriveva questo canto, sentiva già forse il fred-
do della morte. Pensate: in otto anni egli compì quel poema, cui
pose mano cielo e terra! il cielo: la fede; la terra: il dolore. La vita
di Dante, quando egli era a questo punto, dava forse gli ultimi
guizzi: i tre altissimi guizzi di luce, che sono i canti della Trinità;
poi si spense. Ebbene cantando il seggio vuoto dell'alto Enrico,
egli ha una tristezza così dolce! così accorata! Esso non morrà in
patria; non lo vedrà più il suo bel San Giovanni. E poco dopo
Beatrice si allontana da lui e riprende il suo posto nella candida
rosa. Essa gli è ora così lontana, come il fondo del mare dalla più
alta regione del tuono. Presso lui è un sene, dal volto sorridente,
dall'atteggiamento paterno.
Dante è avanti la morte. E non solo la sua anima è purificata e
fatta degna di contemplare Dio, ma anche il suo dolore è lontano.
La mirabile visione è già tutta narrata. Dante può rifugiarsi,
dall'amarezza della vita nella dolcezza del riposo; dall'esilio nella
patria, dalla morte nell'immortalità.
Che cosa restava più, di quel dolore? di quel primo e di quel
secondo, che si comprendono nella morte di Beatrice e nella mor-
te di Enrico? La Divina Comedia.
L'adolescente si smarrisce non avendo la prudenza. La riacqui-
sta nella sua età piena. Si mette per la via del mondo, verso la fe-
licità buona e non ottima. Vuol essere utile ai suoi simili. Ha, con
la prudenza riacquistata, le altre tre virtù necessarie alla vita atti-
va. Ma la malizia degli uomini lo respinge. Non c'è chi governi, e
l'ingiustizia regna. Allora l'uomo cambia di cammino. Si mette,
per ispirazione della donna amata, che ora è morta e vede Iddio
ed è la verace Sapienza, si mette nella via di Dio: si dà alla vita
contemplativa, studiando per giungere all'arte e alla sapienza.
L'arte gli deve servire per rivelare agli altri ciò che avrà veduto:
chè utile anch'essa, e più dell'altra anche, è la vita contemplativa
ai nostri fratelli.
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