Page 325 - Sotto il velame
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Di tal superbia qui si paga il fio;
ed ancor non sarei, qui, se non fosse
che possendo peccar mi volsi a Dio.
Se si volse, ne era torto. Se l'amor del male è un arretrar da Dio,
ma più o meno, e quello che genera la superbia è un arretrar più,
da che è dato questo arretrar più? Da ciò che nella definizione è
detto, che alcuno spera eccellenza. Ora imaginiamo che costui ar-
retri. Finchè egli ami il mal del prossimo, indotto da uno sperare
d'eccellenza, sarà superbo. Ecco Lucifero. Che fece egli? Pensò la
superbia, come dice S. Bernardo. E con la definizione di Dante
possiamo dire che sperò eccellenza. Eccellenza vuol dire superio-
rità, primazia. Ebbene? Il male ch'egli amò fu quel di Dio; la ec-
cellenza che sperò, fu sopra Dio. Ma è così di tutti? No: per un
uomo il male che ama non può essere che del prossimo o vicino;
tuttavia l'eccellenza che spera ha da essere sopra Dio; perchè Dio
è sopra tutti e il superbo vuol essere lui sopra tutti. Ora Adamo fu
superbo nel gustare il pomo. La superbia di lui consistè, dice S.
Agostino , nel voler farsi principio e Dio a sè. E ciò violando un
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«comandamento così lieve a osservare, così breve a ricordare,
specialmente quando nessuna cupidità resisteva al volere». Nei fi-
gli di Adamo il mangiar del pomo è sostituito da ogni azione da
cui li distolga un comandamento della stessa levità e brevità. I co-
mandamenti sono dieci. I più lievi sono i primi; cioè quelli della
prima tavola e il primo della seconda. In verità gli ultimi sono
contro il desiderio, e il desiderio cominciò a resistere al volere
dopo l'umana colpa, e a resistere in modo quasi irresistibile. Dun-
que difficilissimo è osservare quei precetti, come facilissimo os-
servare i primi quattro. Ora nella ghiaccia sono quattro circuizio-
ni: Caina, Antenora, Tolomea, Giudecca. In esse si pagano le of-
fese al vinco dell'amore naturale e dell'aggiunto ,
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895 Aur. Aug. de civ. D. XIV 12 e 13.
896 Inf. XI 56 segg.
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