Page 296 - Sotto il velame
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che è la cote della fortezza o il calcar della virtù. Senz'ira non si
può entrare in Dite, esclama Virgilio. «I gladiatori scherma l'arte,
espone (denudat) l'ira... Che mai levò di mezzo quel rovescio di
Cimbri e Teutoni venutici di su l'Alpi... se non ciò che avevano
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ira per valore?» . Quest'ira dei Cimbri e dei Teutoni mi sa dell' 795
orgoglio degli Arabi
che diretro ad Annibale passaro
l'alpestre rocce, Po, di che tu labi.
Quelle tot millia erano superfusa Alpibus. E qui pure corregge
Dante: Sì: ira fu la loro; ma la passione non generò che orgoglio;
non fortezza. «Nessun altro affetto è più cupido vindicandi, che
l'ira, e per ciò stesso inabile ad vindicandum, troppo avventato e
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pazzo; come ogni cupidità impaccia sè stessa nel suo fine» . E
questo è il fatto del Minotauro che, correndo alla vendetta (vindi-
care non è vendicare; ma tant'è), «gir non sa» . È l'ira che lo
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fiacca e lo fa morder sè stesso e poi lo manda in furia; sì che Dan-
te può passare. Sicchè l'infamia di Creti, come di bestialità, è ac-
concio simbolo d'ira. «Se l'ira fosse un bene, non si troverebbe
ella nei più forti? Eppure i più iracondi sono gl'infanti e i vecchi e
i malati. Ogni impotenza è querula» . E non si deve qui ricorda-
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re l'Argenti, che dice: «Vedi che son un che piango» ? Ma anche
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qui Dante corregge: L'ira dei fanciulli e dei vecchi e dei malati
non genera fortezza, sì qualche cosa che contrasta alla fortezza,
come la timidità: l'audacia, l'orgoglio. «L'ira... tanto è lontana dal-
la grandezza d'animo, quanto l'audacia dalla fortezza, l'insolenza
dalla fiducia, la tristizia dall'austerità, la crudeltà dalla severità.
794 id. ib. n. I 11, 2. Calcar virtutis trovava Dante ivi III 3, 1.
795 Par. VI 49 segg.
796 Sen. de ira I 12, 5.
797 Inf. XII 24, 15, 27.
798 Sen. de ira I 13, 5.
799 Inf. VIII 36.
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