Page 294 - Sotto il velame
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ed acquistare il bene, corrispondenti all'ignoranza e difficoltà ori-
ginali, all'ignoranza e infermità attuali; ma in ordine inverso.
E concludo che il peccato dello Stige e quello d'oltre Stige è
proprio il peccato d'accidia in acquistare, di qua, in vedere, di là,
il bene.
V.
«Non è ira codesta; è bestialità (feritas)» leggeva, par certo,
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Dante in Seneca. E leggeva che Seneca confutava quest'asserzio-
ne dei peripatetici, dicendo: «E che, dunque? L'origine di questo
male è l'ira la quale pose in oblìo la clemenza e ripudiò ogni uma-
no patto e finì col mutarsi in crudeltà» . Ira, dunque, la bestiali-
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tà; e non quel semplice moto che ubbidisce alla ragione, come
quando «uno si crede leso, vuol vendicarsi, ma, dissuadendolo
una causa, sbollisce» . Ira per Seneca è non il moto solo, ma
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l'impeto e l'abbrivo; è quella che «varca d'un salto la ragione, e
porta via seco l'uomo»; è quella «concitazione dell'animo che va
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alla vendetta con la volontà e il giudicio» . Per altro, non è nei
medesimi libri, ira la sola ferita: ira è anche quella che Dante pu-
nisce nello Stige. Invero «dell'iracondia è compagna la tristizia e
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in essa ogni ira si muta o dopo la penitenza o dopo la ripulsa» .
Ebbene, Dante chiamava ira peccato codesta iracondia? No: egli
quivi ricordava il maestro e pensava come lui che si battagliasse
di parole. L'iracondia di cui è compagna la tristizia non è in sè e
per sè peccato, poichè egli non mette soltanto nel fango dello Sti-
ge la tristizia vicina all'ira, ma anche in Virgilio; chè lo fa tornare
indietro dalla porta di Dite con le ciglia rase di ogni baldanza e
783 Sen. de ira II 5, 2.
784 id. ib. 3.
785 id. ib. 5.
786 id. ib. 3, 4 e 5.
787 id. ib, 6, 2.
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