Page 295 - Sotto il velame
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parlante tra i sospiri. Or in Virgilio come nè la tristizia così nè l'i-
           ra è peccato. E in ciò contradice a Seneca il quale nega che la vir-
           tù debba mai essere irata, perchè «l'ira non è della dignità della
                                    788
           virtù più che l'attristarsi» . Dante dunque, per questo rispetto,
           corregge Seneca.
              E qui e altrove. Per esempio, quando Seneca dice che il sa-
           piente, se avesse ad avere l'ira, sarebbe assai infelice, chè per tut-
           to all'ira troverebbe motivo, quando, per esempio, vedesse il foro
           pieno piuttosto di fiere che di uomini, di uomini anzi peggiori
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           delle fiere, di uomini che «mutua laceratione satiantur» ; Dante
           corregge questo che è certo un suo autore, dicendo: E sì, il sa-
           piente deve appunto aver qui la sua ira, che partita dalla medesi-
           ma passione che quella, non è peccato ma virtù, e deve anche go-
           dere di tal vista, quando quella mutua lacerazione sia di giustizia.
              Dante fa suo prò di tante asserzioni e osservazioni di Seneca,
           riducendole però alla sua norma peripatetica. Eccone alcune altre.
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           «Che c'è di più insulso dell'iracondia che tumultua in vano?»  È
           l'orgoglio di Filippo Argenti. «L'iracondia aiuta i leoni» . Se il
                                                                   791
           leone è simbolo di violenza, è nel tempo stesso atto a significare
           l'ira. «Semplici (perchè esposti a ricevere il male) sono gl'iracondi
           in comparazione dei frodolenti e degli astuti» . In vero Dante
                                                         792
           pone in comparazione dei frodolenti, come rei di peccato meno
           complicato, i violenti: non forse i violenti sono iracondi? «Lan-
           guido, si dice, è l'animo senz'ira. Bene: se però non ha nulla di
           più valido che l'ira. Non si deve essere nè predone nè preda; nè
           pietoso nè crudele. Quello ha l'animo troppo molle, questo troppo
           duro: il sapiente ha da essere temperato. Alle azioni forti usi non
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           l'ira, ma la forza (vim)» . E qui Dante correggeva: proprio l'ira,
           788   Sen. de ira ib.
           789   id. ib. 8, 3.
           790   id. ib. 11, 1.
           791   id. ib. 16, 1.
           792   id. ib. 3.
           793   Sen. de ira ib. 17, 2.


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