Page 289 - Sotto il velame
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va sopraffar gli altri, sebbene avesse «poca virtude e valore» .
Invero nel brago c'è, come lo scolaticcio della concupiscenza,
così il seme dell'ingiustizia. C'è, senza dubbio, chi spera eccellen-
za, e c'è chi s'attrista per il timore di perdere il suo, e c'è chi s'at-
trista per l'onta della ingiuria che non osa vendicare. Non avere
fortezza, sì vana audacia e inerte timidità, significa avere quella
speranza e quel timore e quella tristizia. Non avere la fortezza,
che ausilia la giustizia, vuol dire stare ai piedi della ingiustizia,
sia che l'ingiuria si mediti e non si faccia, sia che l'ingiuria non si
respinga. E ciò significa essere incontinenti d'ira e nel tempo stes-
so non rei di malizia. Il lento glutine della palude impedisce l'ira;
che così nè si fa cote della fortezza e perciò propugnatrice della
giustizia, nè si fa seme dei peccati attivi d'ingiustizia. Vi è, sì, nel-
la palude, e superbia e invidia e ira; ma passioni tutte e tre, non
peccati.
Ora si domanda se il trovarsi queste passioni in quattro pecca-
ti, incontinenza d'irascibile, violenza, frode e tradimento, impedi-
sca che il primo d'essi si chiami accidia e il secondo ira, e il terzo
invidia, e il quarto superbia.
IV.
Per l'accidia non v'ha dubbio. Nel brago è punito il difetto di
fortezza. Nella reità dei peccatori è l'ira e l'invidia e la superbia,
passioni. Poichè il timore, donde vien la tristizia, le inceppa e le
rende vuote d'effetto, quella reità si chiama accidia. Dante lo dice
così per incidente, come non dice apertamente e dottrinalmente
che sia lussuria o gola o avarizia il peccato delle tre sottospecie
dell'incontinenza di concupiscibile. Un altro nome ha quel difetto
di fortezza: infermità. E infermità (originale) è il difetto degli
sciaurati del vestibolo. Ad essi somigliano sì i rissosi, sì i fangosi
778 Dall'Ottimo.
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