Page 288 - Sotto il velame
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verranno al sangue, e la parte selvaggia
caccerà l'altra con molta offensione:
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E dominare con la frode :
Poi appresso convien che questa caggia
infra tre soli; e che l'altra sormonti
con la forza di tal che testè piaggia:
come dicesse, con la violenza d'un fraudolento. Dove sarebbe la
violenza? E c'è, se noi prendiamo quei tre nomi quali non di pec-
cati, ma di faville o semi di peccati. Avarizia è desiderio di beni
temporali; invidia ha in più il timore di perdere il proprio e perciò
quel semplice desiderio del proprio si muta in desiderio che altri
non abbia; superbia ha in più la speranza d'eccellenza, cioè di vin-
cere ognuno al paragone; e perciò ha ancora il desiderio di soppri-
mere gli altri. E chi non vede che quest'ultima favilla può dare
l'incendio della violenza? E di più: come non può essere originata
la frode da questa medesima favilla? Come quegli che «piaggia»
non può avere avuto il desiderio di soprastare a tutti? Come, anzi,
non ognuno che tema di perdere il proprio in confronto d'un altro,
ha questo desiderio? Soprastare a ognuno via via, come non è il
desiderio di soprastare, in fin fine, a tutti?
Ma questo è appunto il pensiero di Dante, quando chiama su-
perbia la violenza di Capaneo, quando chiama superbo il fraudo-
lento: il pensiero che ci sia nella violenza e nella frode quella fa-
villa, quella passione. E di più, mostra che ci sia anche nei pecca-
tori dello Stige, quando dice orgogliosa la persona di Filippo Ar-
genti; con questo che orgoglio non è proprio superbia; ma un che
di tronfio e di vano: il tubare dispettoso del colombo a confronto
del ruggito del leone. Ma, insomma, anche il cavalier Adimari
con quella sua grande vita e grande burbanza e molta spesa vole-
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