Page 25 - Sotto il velame
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tanto è amara che poco è più morte,
e incute tanta paura, che la rinnova nel pensiero. Se, per esempio,
il piacere della donna pietosa è uno dei fatti simboleggiati nella
selva, non s'intende tanta paura e tanta amarezza di morte.
No: s'intende. Nel Convivio si comentano lungamente questi
tre versi della canzone «Le dolci rime d'Amor, ch'io solia»:
Ma vilissimo sembra, a chi'l ver guata
chi avea scorto il cammino e poscia l'erra,
e tocca tal, ch'è morto, e va per terra.
Dante dice «che non solamente colui è vile, cioè non gentile, che
disceso di buoni è malvagio, ma eziandio è vilissimo». E aggiun-
ge: «Perchè non si chiama non valente, cioè vile? Rispondo: Per-
chè non valente, cioè vile, sarebbe da chiamare colui, che non
avendo alcuna scorta, non fosse ben camminato; ma perocchè
questi l'ebbe, lo suo errore e 'l suo difetto non può salire; e però è
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da dire non vile ma vilissimo» . Vile e viltà in tutto questo tratta-
to del Convivio è opposto di nobile (che Dante deriva da non vile)
e di nobiltà; e nobiltà o gentilezza o bontà è la perfezione umana
la quale consiste nell'usar che faccia l'anima «li suoi atti nelli loro
tempi e etadi, siccome all'ultimo suo frutto sono ordinati» . Ora
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fortezza o magnanimità è virtù di giovinezza; e il giovane che
non l'abbia è non nobile, cioè vile. E Dante ci mostra nel poema,
una volta tra le altre, il nobile in faccia al vile .
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Se io ho ben la tua parola intesa,
rispose del magnanimo quell'ombra,
30 Conv. IV 7.
31 Conv. IV passim, e 24.
32 Conv. IV 26.
33 Inf. II 43 segg.
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