Page 244 - Sotto il velame
P. 244
617
lio; eppure Dante da Bocca sente dirsi poi :
Del contrario ho io brama;
levati quindi e non mi dar più lagna,
che mal sai lusingar per questa lama.
E Bocca non vuol dire nè dice il suo nome, che, in vero, non può
nel mondo che sonare onta. E il Camicione, sì, lo dice. Non è
esso un Anteo rispetto a Nembrotto o qualunque altro dei giganti
legati e muti? Tanto più che nella pena assomigliano i giganti e i
dannati della ghiaccia: il gelo di Cocito serra questi, come le cate-
ne quelli. E chi non vede ora la ragione della pena stessa? I gigan-
ti avevano possa, mal volere e mente. Ebbene or non possono più,
che sono incatenati, sebbene vogliano il male ancora, chè Nem-
618
brotto grida e vorrebbe disfogar l'ira o altra passione , e Fialte si
scuote come torre per tremuoto rubesto. Il mal volere resta in
loro; ma le catene impediscono la gran possa, e una confusione
totale oscura la loro mente, sì che Nembrotto non sa trovare il
corno sul gran petto, e parla un linguaggio che non s'intende, e
non intende alcun linguaggio che gli si parli. Questo difetto del
linguaggio non ha Anteo, il quale ama, nel tempo stesso, la lode.
È chiaro dunque che anche i dannati che sono al piede dei giganti,
il non parlare e il non amar fama l'hanno per castigo o per contra-
sto a ciò che nel loro peccato fu inordinazione della mente. Il che
s'è veduto in Vanni Fucci, che si dipinse di trista vergogna perchè
anche con la mente peccò, e non con solo l'animo e la volontà.
Possiamo dunque conchiudere che maggiore fu nei peccati l'inor-
dinazione nella mente, e più grave è, in Malebolge e nella Ghiac-
cia, la vergogna del fallo e l'orror per la fama. Dico la vergogna
del fallo: in vero Ulisse risponde a Virgilio, perchè questi ha di-
chiarato prima, che lo interrogherà su tutt'altro; e Guido risponde
anche sul fallo suo proprio, perchè crede che chi lo interroga, sia
617 Inf. XXXII 94.
618 Inf. XXXI 67 segg. 71 seg.
244