Page 216 - Sotto il velame
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è la traduzione d'un esametro virgiliano seguito a poca distanza
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           dall'altro pur tenuto presente :
                              unde haec... tibi tam dira cupido?
                              . . . . . . . . . . . . .
                              Desine fata deum flecti sperare.


           Mirabile, e degno di attento studio, è questo appropriare che Dan-
           te fa del linguaggio alle sue persone: da Nembroto che parla la
           sua lingua inintelligibile, a Virgilio che a Sordello si rivela con la
           prima parola del suo epitafio: Mantova (meglio, forse, Mantua),
           che doveva, mi pare, seguire con me genuit .
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           La prima volta: ho detto; ho detto: risente. Invero si meditino
           queste poche parole  pronunziate dalla Sibilla, parole alle quali
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           perciò Dante poteva attribuire un senso misterioso: «Se hai tanto
           affetto e desìo

                              bis Stygios innare lacus, bis nigra videre
                              Tartara:»

           parole di quel discorso dove sono la porta sempre aperta e la faci-
           le discesa all'Averno, e le selve e il ramo d'oro, e la verga che ri-
           nasce dove fu svelta, e altro ancora, che Dante tenne a mente.
           Dunque bis passare lo Stige, bis vedere il Tartaro (che in Dante è
           la città di Dite, sia perchè fuse o sia perchè confuse): bis, due vol-
           te. Non egli mise d'accordo qui il suo vangelo profano coi suoi li-
           bri sacri? non la Comedia qui dichiara e corregge la Tragedia?
           Enea, per Dante, è nel limbo. Ma Virgilio, per bocca della Sibilla,
           dice che due volte egli è per vedere lo Stige e il Tartaro. Una vol-
           ta li vide in quella andata. La seconda, quando? Chè morendo, nel

           524   Aen. VI 373, 376.
           525   Purg. VI 72.
           526   Aen. VI 146 sq.


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