Page 214 - Sotto il velame
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eccellenza, cioè ingiustizia, è la opposizione a Dio.
E il Messo apre con una verghetta. Apre con essa la porta di
Dite. Avanti la porta arcuata che interrompe le mura ferree della
casa di Dite (che Dante forse confuse e a ogni modo fuse con la
porta e le mura del Tartaro) l'Enea Virgiliano figge il ramo d'oro,
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che il poeta chiama «venerabile donum fatalis virgae» . O non è
quella verghetta? Come si doveva Dante rappresentare quell'Enea
ch'egli diceva di non essere, ma di cui imitava ora il viaggio, se
non con la verghetta in mano? Ma nell'Eneide la verghetta non
serve ad aprire e passare. Eppure nel testo di Virgilio Dante leg-
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geva :
Occupat Aeneas aditum . . . .
. . . . ramumque adverso in limine figit;
e leggeva in Servio: ingreditur, sicut supra diximus. E supra 517
leggeva la medesima espressione per dire proprio: entra. E più so-
pra leggeva che mediante quella «fatale verga» si faceva tra-
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ghettare da Caronte. Insomma, o trasformasse o frantendesse, nel-
l'Eneide aveva la ispirazione o il modello di quest'uffizio del
ramo d'oro. E non basta. In Servio il Poeta leggeva: «accostarsi
alle sacre cerimonie di Proserpina non poteva se non preso il
ramo»; e celebrare i misteri di Proserpina Servio dichiara come
«andare agl'inferi». Sapeva dunque il Poeta tutta la virtù simboli-
ca del ramo in relazione a Proserpina. E chi non resta qui colpito
dallo strale della verità, quando ripensa che in questo episodio è
mentovata «la regina dell'eterno pianto», e poco dopo «la donna
che qui regge» ? O non è qui Proserpina richiamata dalla «ver-
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ghetta», dal ramo? Il qual ramo, infine, è detto da Servio simbolo
515 Aen. VI 636, 408.
516 ib. 635 sq.
517 ib. 424.
518 ib. 406 segg.
519 Inf. IX 44, X 80.
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