Page 210 - Sotto il velame
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qua e là, come rane, fuggendo da lui. Ma c'è di più: egli apre la
           porta. La porta chiusa è quella della malizia che ha per fine l'in-
           giuria, ossia della ingiustizia. Ebbene come la palude dei vizi
           contrari a fortezza, è passata al passo con le piante asciutte da un
           supremamente forte, così la porta chiusa dei peccati contrari a
           giustizia, deve essere disserrata da un supremamente giusto. E
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           questi è Enea. Dante cita le parole di Ilioneo : «Re nostro era
           Enea, di cui nessun altro fu più giusto...» E Virgilio dice a lui, sul
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           primo mostrarsi :

                              Poeta fui, e cantai di quel giusto
                              figliuol d'Anchise...

              Enea è il giusto, per eccellenza: pensa Dante.
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              Ed è invero il padre dell'alma Roma e di suo impero ; del-
           l'impero che è la perfezione della vita attiva o civile, quando Ce-
           sare siede nella sella. E la giustizia è la virtù che assomma le al-
           tre, con il cui uso si ottiene la beatitudine buona, se non ottima. E
           così Virgilio s'annunzia come il poeta dell'eroe giusto e padre del-
           l'impero; quasi dicesse il poeta dell'attività o civiltà umana. E così
           Dante esce in quei ricordi così intempestivi, come sembrano, del
           successor di Piero e del papale ammanto. Al cantor della vita atti-
           va Dante, a voler dir lo vero, con la modestia del discepolo, col
           rispetto all'infelice, soggiunge: la qual vita attiva o civile è prepa-
           razione all'altra, alla contemplativa o spirituale. Nè a caso è ricor-
           dato con Enea, Paolo: il primo scese agl'inferi, l'altro salì ai cieli;
           l'uno per la giustizia, che assomma le virtù cardinali, l'altro per la
           fede, che assomma le virtù sante; l'uno per il cammino del mon-
           do, l'altro per quello di Deo. Ma basti per ora. Tuttavia chiediamo
           a Dante un altro perchè. Perchè quelli «del primo grado», quelli
           che senza speme vivono in desìo, fanno, di rado bensì, ma qual-
           508   De Mon. II 3.
           509   Inf. I 73.
           510   Inf. II 20.


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