Page 207 - Sotto il velame
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che è appunto la magica :
vero è ch'altra fiata quaggiù fui
congiurato da quella Eriton cruda,
che richiamava l'ombre a' corpi sui.
Non mi par dubbio che il Poeta delinei negli atti e nelle parole di
Virgilio questa sorta di fortezza apparente; con questo, che non
tanto egli la giudica apparente e non vera, quanto inferiore e non
somma. Che egli conosce una nobiltà (che è la perfezione della
virtù conveniente alle singole età), la nobiltà, «divina cosa» cui
quelli che hanno «sono quasi Dei». Invero «come uomini sono vi-
lissimi e bestiali, così uomini sono nobilissimi e divini. E ciò pro-
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va Aristotele nel settimo dell'Etica per lo testo di Omero...» Il
passo d'Aristotele è quello donde il Poeta ricavò la triplice dispo-
sizione che il ciel non vuole: malizia, incontinenza e bestialità, in-
tesa a modo suo più forse che del filosofo. Egli lesse dunque:
«Alla bestialità converrà dire che s'opponga la virtù sovrumana,
eroica in certo modo e divina; come Omero ha indotto Priamo a
dir di Ettore, perchè era assai forte (buono). E' non pareva essere
figlio d'uomo mortale, sì di un Dio» .
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E qui ci vuole uno la cui fortezza sia eroica, e che possa chia-
marsi nobilissimo e divino: il che dà alla fortezza o nobiltà di Vir-
gilio il carattere di minore e non di falsa. Ci vuole uno che abbia
veramente esperimentato il pericolo. E con questo, bisogna che si
trovi nella condizione di Virgilio, per poter scendere e sia quindi
«del primo grado» anch'esso, poichè quelli, sebben di rado, fanno
quel cammino del basso inferno. Inoltre deve essere tale che, es-
sendo pur esso che vince la punga, Virgilio possa ragionevolmen-
te aver detto: «Pur a noi converrà vincere».
Ed ecco viene l'aspettato: il suo eroe. Pare un vento impetuoso.
497 Inf. IX 22 segg.
498 Conv. IV 20.
499 Eth. VII, 1.
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