Page 191 - Sotto il velame
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E orgoglio in Dante è il rimpettire e tronfiare e rotare dei co-
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lombi , e quel di Serse, a gettare un ponte sul mare , e quel de-
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gli Arabi a passar l'Alpe , e quel della gente nuova , e quel che
cade, insieme con l'uncino, a Malacoda, appena Virgilio gli ha
parlato . Tutte queste volte l'orgoglio è qualche cosa che cade
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subito, qualche cosa di vano e in sè e nell'effetto. Grazioso è il
fatto dei colombi: il loro orgoglio, quella loro pettoruta e freme-
bonda alterigia, cessa a un tratto per una manata di becchime:
beccano queti: a un tratto un sassolino che cade vicino a loro, li fa
levar su in un impeto di paura. Non sono davvero forti, i cari co-
lombi, ma orgogliosi o timidi. E passando agli uomini, orgoglio è,
dunque, in Dante non tanto a indicare la grandezza del pericolo
affrontato e dell'impresa assunta, quanto a significare la subita
fine d'una vampa improvvisa e vana. Così è di Serse, così degli
Arabi, così di Malacoda. E come non della gente nuova? E come
non di Filippo Argenti?
Così inteso l'orgoglio è proprio tutt'uno con l'audacia. Nel libro
di Tullio, donde prese la violenza e la frode, Dante leggeva un
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detto di Platone , che «un animo pronto al pericolo, se è spinto
da sua cupidità, non dal comun bene, deve avere piuttosto il nome
di audacia che di fortezza». Ora egli dice di Filippo Argenti:
Bontà non è che sua memoria fregi;
e ciò dice subito dopo aver mentovato il suo orgoglio. Non è leci-
to presumere che il pensiero di Dante sia appunto che quello dello
Argenti era orgoglio od audacia per ciò che il suo animo non era
spinto dal bene comune, sì che nessun bene di lui si poteva rac-
442 Purg. II 126.
443 Purg. XXVIII 72.
444 Purg. VI 49.
445 Inf. XVI 74.
446 Inf. XXI 85.
447 De off. I, 19, 63.
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