Page 190 - Sotto il velame
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tre nel limbo si prova gran duolo. C'è dunque quasi una posposi-
           zione: nell'inferno del peccato originale, prima è lo sdegno e poi
           la pietà; nella prima parte dell'inferno del peccato attuale, ossia
           tra l'incontinenza, prima è la pietà e poi lo sdegno: pietà per la
           concupiscenza, massima nella lussuria, minima nell'avarizia; sde-
           gno, per che cosa? per l'infermità speciale, che è l'inordinazione
           dell'irascibile all'arduo. E qui ci troviamo davvero avanti all'ar-
           duo, con la nostra interpretazione; poichè i lettori e i critici fissi
           nell'idea che «color cui vinse l'ira» siano i rei d'ira, chiudono gli
           occhi e abbassano il capo e recalcitrano.
              Io ho già detto che come avarizia è la denominazione della
           colpa sì degli avari e sì dei prodighi nel cerchio precedente, così
           nella palude accidia è sì di color cui vinse l'ira, sì dei tristi che
           hanno mozza la parola e portarono dentro accidioso fummo. Ora
           dirò come l'infermità dell'irascibile, per cui esso è destituito del
           suo ordine all'arduo, sia non solo accidia, come è chiaro, ma sia
           accidia anche dove pare ira e non è. In vero la virtù che è nell'ira-
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           scibile come in subbietto, è la fortezza . Or la fortezza, come
           Dante stesso dice, «è arme e freno a moderare l'audacia e la timi-
                                                                        439
           dità nostra nelle cose che sono corruzione della nostra vita» .
           Poichè «ciascuna di queste virtù ha due nemici collaterali, cioè
           vizii, uno in troppo, e un altro in poco» , i due nemici collaterali
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           della fortezza sono appunto l'audacia e la timidità. La timidità
           Dante chiama, nel luogo della Comedia, tristizia o accidia: come
           chiama l'audacia? Chè il contrario di quella tristizia la quale è ti-
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           midità, è l'audacia, e non altro. La chiama «orgoglio» .
                              Quei fu al mondo persona orgogliosa:
                              bontà non è che sua memoria fregi.



           438   Summa 1a 2ae 85, 2.
           439   Conv. IV 17.
           440   ib.
           441   Inf. VIII 46.


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