Page 182 - Sotto il velame
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dal peccato originale. E la rottura della porta dice, rispetto ad
essa, che, fin che vive, da che il Cristo è venuto, ognuno può vo-
lere la morte a quella morte, ossia passar l'Acheronte. Chi non
vuole da vivo, non può da morto. Gl'ignavi restano e Dante passa.
Questa morte è la tenebra.
L'acqua d'Acheronte è livida, senza riflessi, bruna. Chi passa,
da vivo, acquista la luce o la prudenza; e si trova tra quelli che di
luce e di prudenza furono privi; chè non ebbero altro reo che un
difetto. Il quale come si chiama da S. Tommaso? Ignoranza. Igno-
ranza quella di Virgilio? di Aristotele e di Plato? «Lume non è se
non vien dal sereno: anzi è tenebra». E da quali si diparte, chi
passa l'Acheronte? Da quelli che non vollero entrare, vivendo,
dalla porta aperta, dalla quale, morti, non possono uscire; da quel-
li che non vollero morire alla morte e perciò non possono ora mo-
rire della seconda morte. Il loro difetto di volere, il loro rifiuto di
servirsi di ciò che era stato loro reso libero, è simile alla colpa di
quelli in cui «l'irascibile fu destituito del suo ordine all'arduo»: si
chiama quindi infirmitas. È colpa, dunque, pari a quella dei fitti
nel fango? Non uguale, ma simile. Non uguale, perchè quale ar-
duo è una porta aperta? Che ci voleva per salvarsi, a codesti igna-
vi, che non avevano avanti a sè fiere verune? che non avevano
impedimento nè nelle passioni nè nei tumulti esteriori? C'è tra
loro
l'ombra di colui
che fece per viltate il gran rifiuto.
Chi sia, Dante non dice; ma chiaramente ci dice ch'egli rifiutò
di far cosa che poteva fare senza alcun suo pericolo, senza alcun
suo danno, e con sommo suo onore e vantaggio. Quindi è da la-
sciar da parte, anche per questa ragione, il santo eremita Pietro da
Morrone. La viltà, la ignavia, la sciaurataggine delle ombre del
vestibolo è un'infirmitas totale; come totale è la ignoranza dei so-
spesi nel limbo. E questi e quelli sono tra loro riposti a tal norma:
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