Page 152 - Sotto il velame
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impedisce che si diventi seguace d'ingiustizia, non impedisce,
anzi agevola, il divenirne vittima. È chiaro. Tuttavia ricordo che i
filosofi affermano che le virtù morali valgono contro due nostri
impedimenti, tra loro ben diversi, la veemenza delle passioni e i
tumulti esterni: un impedimento che è in noi e un altro che è fuori
di noi; e che il primo possono le virtù togliere, il secondo non
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possono se non diminuire .
Dante è per vincere la lonza, è impaurito dal leone, è ripinto
dalla lupa. Contro esse, dopo che ebbe riacquistata la prudenza,
esercitò le altre tre virtù morali: temperanza, fortezza e giustizia.
Ciò nel «corto andare» verso il bel monte. Quell'esercizio è
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dunque l'uso pratico dell'animo, il qual uso «si è operare per noi
vertuosamente, cioè onestamente, con prudenza, con temperanza,
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con fortezza e con giustizia». Chè invero sono nella vita «due
diversi cammini buoni e ottimi...»: l'uno è della vita attiva. E l'an-
dar di Dante fu dunque questo cammino. E per questo cammino si
perviene «a buona felicità», sebbene di felicità ce ne sia un'altra
ottima. E il bel monte, dunque, a cui conduceva quel cammino,
sarà questa buona felicità: buona e non ottima. Chè «l'umana
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natura non pure una beatitudine ha, ma due; siccome quella della
vita civile, e quella della contemplativa»; e di questa beatitudine
«della vita attiva, cioè civile, nel governo del mondo» l'altra «è
più eccellente e divina». E chi ha l'una, cioè «la beatitudine del
governare» non può «e l'altra avere». Dunque Dante, con quel
«corto andare» sarebbe pervenuto alla beatitudine della vita attiva
cioè civile. Impedito quello, «non c'era altra via» che il cammi-
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no della vita contemplativa; che chi ha l'una beatitudine, non può
l'altra avere: si escludono: o l'una o l'altra. Perciò Virgilio, veden-
do l'ingiustizia, per la quale Dante gridava, pensa e dice, vedute le
352 Summa 2a 2ae 180, 2.
353 Conv. IV 22.
354 Conv. IV 17.
355 Conv. II 5.
356 Purg. I 62.
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