Page 150 - Sotto il velame
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gioventù la «nobile» natura si fa «temperata e forte». Uscendo
dalla selva, da vile era divenuto non vile, cioè nobile. Egli aveva
contro la lonza, che è concupiscenza e tristizia, il freno e lo spro-
ne, la temperanza e la fortezza. Dice infatti che bene sperava di
lei.
Ma ecco le altre due bestie: il leone e la lupa. Esse sono la vio-
lenza e la frode, cioè la malizia. E della malizia ingiuria è il fine.
Vale a dire, ella è l'ingiustizia, come la chiama l'autore di Dante.
Contro l'ingiustizia che può essere raffigurata dalla sola lupa, per-
chè questa comprende, se non altro, anche il leone, qual virtù era
necessaria? La giustizia.
Dall'ingiustizia Dante è ripinto verso la selva della tenebra e
della servitù. Dunque Dante non aveva questa virtù della giusti-
zia, come aveva le altre tre? Egli l'aveva. Egli piange e s'attrista
arretrando avanti la lupa, egli domanda aiuto contro lei, egli gri-
da, egli lacrima. Anzi, nel vedere il suo lacrimare, Virgilio gli
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propone «altro viaggio» . Questi sono segni di orrore per la
lupa, cioè per l'ingiustizia: dunque, segni della virtù di giustizia.
Ma si dirà: l'essere prima ripinto e poi tanto impedito da essere
ucciso dalla bestia che simboleggia l'ingiustizia, significa simbo-
licamente essere ingiusti. No. Dante esprime in un modo, come
l'ingiustizia faccia proseliti, in un altro, come faccia vittime. Fa
proseliti ammogliandosi :
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Molti son gli animali, a cui s'ammoglia,
e più saranno ancora.
La lupa è altra volta una fuia , e il veltro, per cui la lupa deve
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discedere ed essere morta ed essere rimessa nell'inferno, è «un
cinquecento dieci e cinque». Anche questa fuia è la frode, o più in
genere, la malizia o l'ingiustizia. Ebbene il gigante «che con lei
346 Inf. I passim.
347 Inf. I 100.
348 Purg. XXXII 151 segg. XXXIII 43 segg.
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