Page 146 - Sotto il velame
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mediante la tristizia: l'invidia .
Chiamavi il cielo, e intorno vi si gira,
mostrandovi le sue bellezze eterne,
e l'occhio vostro pure a terra mira...
Si tratta certo d'una tristizia, quale di quelli per cui fu invano l'aer
dolce e il sole e il logoro del divino falconiere. Ma non è essa il
solo peccato di costoro. Essi furono rei di quell'altro, che così Vir-
gilio definisce :
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È chi podere, grazia, onore e fama
teme di perder perch'altri sormonti,
onde s'attrista sì che il contrario ama.
Il loro peccato è ben complesso: c'è un'esca che essi prendono ,
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cioè quel podere, grazia, onore e fama ch'essi hanno; c'è' il timore
di perdere ciò che hanno, e questa è la tristizia; c'è in fine l'amor
del male altrui; e questa è l'invidia. All'invidia dunque si va per
mezzo della tristizia, e partendo dall'amor del proprio bene.
Abbiamo dunque due radici o due capi di mali: la concupi-
scenza e la cupidità. Non sono la stessa cosa. Di cupidità comin-
cia a parlare il poeta, dove parla di lupa; al cerchio dell'avarizia.
Quindi lussuria e gola sono sceverate da questa, e formeranno la
concupiscenza. La lonza è dunque tutta l'incontinenza di concupi-
scibile, con questo, che una specie di essa, l'avarizia, è più pro-
priamente nella lupa. Diciamo: la concupiscenza cioè lussuria e
gola, più propriamente peccati carnali, e la cupidità o avarizia,
che è mezzo tra carnale e spirituale. La concupiscenza divien tri-
stizia, da tristizia divien malizia. L'avarizia diviene facilmente
malizia. Senza quel tuffo nella tristizia? Abbiamo veduto che ella
337 Purg. XIV 148.
338 Purg. XVII 118 segg. E cfr. XV 49 segg.
339 Purg. XIV 145.
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