Page 144 - Sotto il velame
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ne di S. Agostino riportata nella Somma : «Cupidità di qualsivo-
glia bene temporale è veleno della carità, in quanto l'uomo di-
sprezza il bene divino per ciò che aderisce, sta fisso (inhaeret), a
un bene temporale». Che cosa cantano gli avari del Purgatorio?
Adhaesit pavimento anima mea,
a terra, ai beni terreni. Essi però ebbero sì dentro sè il veleno, di
cui parla S. Agostino; ma non ne morirono. Chè erano avari e non
propriamente cupidi.
Fossero stati cupidi, non sarebbero in quella cornice, e pur non
avendo quella pena di cui il monte non ha alcuna più amara, sa-
rebbero per altro più lontani dalla divina foresta. In verità il loro
amore si sarebbe torto al male; al male del prossimo. E come? Per
l'aderire alle cose terrene, avrebbero in esse appetito l'eccellenza;
si sarebbero in esse attristati per la superiorità degli altri e perciò
avrebbero meditato o fatto ingiuria agli altri. Oppure l'ingiuria al-
trui avrebbero mal tollerata, correndo bramosamente alla vendet-
ta. Insomma avrebbero pensato o commesso qualche atto d'ingiu-
stizia. La loro cupidità si sarebbe «liquata» in volontà iniqua. I
cupidi sarebbero stati rei d'ira o invidia o superbia.
Riassumiamo. La concupiscenza può divenire facilmente tristi-
zia: contro la lonza è farmaco «l'ora del tempo e la dolce stagio-
ne». Chi sfrena la carne, corrompe lo spirito; cioè l'incontinenza
può mutarsi facilmente in malizia. L'avarizia, con questo nome e
più con quello di cupidità o cupidigia, è già quasi da sè, e facil-
mente si rende, ingiustizia: l'amor delle cose terrene porta sovente
all'amor del male e all'ingiuria. Il concetto unico di questi diversi
fatti è che chi si fissa nel bene che non è bene, si distoglie a mano
a mano dal bene che è vero bene, e si torce al male. In ogni pec-
cato è un volgere il viso verso un mutabile bene e un ritorcerlo
333 Summa 2a 2ae 418, 5.
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