Page 151 - Sotto il velame
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delinque» non è uno a cui ella, lupa e fuia, s'ammoglia? Esso è in-
           giusto o malizioso o frodolento; non quelli che la meretrice, con
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           sue arti, diserti e derubi . E poi, ammogliarsi significa diventar
           donna ossia domina: dominare, quindi. Ed è questa la parola che
           Dante accoppia a «cupidità» altrove, per significare appunto la
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           lupa dell'inferno e del purgatorio, e la fuia che bacia il gigante :
           E qua e là della cupidigia egli fa una sirena o una meretrice che
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           ammalia . Cupido dunque e perciò ingiusto sarà chi resta amma-
           liato da lei. Quelli ch'essa impedisce e uccide sono le sue vittime.
           E Dante dunque è o sarebbe sua vittima, non suo seguace.
              Vero è che noi non possiamo figurarci come con la lupa il via-
           tore avrebbe potuto divenire ingiusto; mentre con la lonza possia-
           mo imaginarci come avrebbe potuto divenire incontinente. La
           lonza lo avrebbe assonnato. La lupa? Lo avrebbe sedotto: sta
           bene: ma come? Nemmen Dante potrebbe rispondere; perchè in
           verità non vedeva in lei questa faccia, ora. Quando la vide, ne
           fece una meretrice, la quale, come possa sedurre, si capisce bene:
           è una lupa essa, ma non ha quattro gambe. E tuttavia anche qui
           col dire «animali» fuor di rima, invece che bruti o fiere o belve o
           bestie, mostra riguardo per questa faccia del suo simbolo.
              Del resto tra lonza e le altre due bestie si deve attendere una
           differenza. La lonza, se è, come è, incontinenza, fa sua preda di
           chi fa suo seguace: la lupa, se è, come è, malizia, fa proseliti in un
           modo e vittime in un altro, e quali ammalia e quali uccide. E an-
           che le virtù opposte a quelle due «disposizioni» operano diversa-
           mente: la temperanza e fortezza impediscono di diventare segua-
           ce e nel tempo stesso preda dell'incontinenza; la giustizia, virtù,


           349   Vedi più sopra «Le tre fiere» III p. 122.
           350   : Ep. VI 5 nec advertitis dominantem cupidinem, quia caeci estis, veneno-
              so susurro blandientem.
           351   Par. XXX 13: La cieca cupidigia che v'ammalia. Ep. V 4: Nec seducat illu-
              dens cupiditas, more Sirenum, nescio qua dulcedine vigiliam rationis mor-
              tificans. De Mon. I 13: hoc metu cupiditatis fieri oportet, de facili mentes
              hominum detorquentis.


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