Page 127 - Sotto il velame
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Gerione serve la corda, non a pigliarlo. Quando Gerione è venuto
su, Virgilio patteggia con lui; la corda non basta. Dice:
mentre che torni parlerò con questa,
che ne conceda i suoi omeri forti.
Le avrà detto, presso a poco, ciò che a Caron, ciò che a Minos,
ciò che a Pluto, ciò che ad altri: «Vuolsi così!» Il difficile era di
farla venir su quella sozza imagine di froda! E a ciò servì la cor-
da, che appunto fu aggroppata e ravvolta, a formare un nodo
come quelli che Gerione aveva dipinti sul dosso e sul petto e su
ambedue le coste. Era un inganno all'ingannatore. Ma in che
modo la corda poteva fare venir su l'ingannatore? che cosa dovè
questi credere, nel veder quella corda?
Con la lonza alla pelle dipinta, come credeva di potersene ser-
vire Dante? La voleva prendere; ossia, legare, vincere, assogget-
tare. O che altro? Per la lonza forse era un logoro? un richiamo?
uno zimbello? Non pare; è assurdo. La corda è un'arma; e servir-
sene come di zimbello sarebbe quale il fatto dell'uccellatore che
mettesse come richiami la penera e la rete. Con la corda egli la
voleva proprio vincere e avvincere, credo. Or dunque gettar qui la
corda essendo un inganno per attirar su Gerione, significa spo-
gliarsi dell'arma d'offesa, e mostrare così di non poter nuocere. È
un cennare a Gerione: Non ho più la corda: vieni su, che sei sicu-
ro. O meglio, trattandosi d'un de' passatori dell'inferno: Vieni su,
che c'è carico per te. Ora se Gerione e lonza simboleggiano tutti e
due la frode, quella corda, se aveva a prender la frode, era una
virtù ad essa contraria.
Non però «il buono accorgimento» del Casella. Chè allora il
cenno della corda direbbe a Gerione: C'è quassù un malaccorto;
vieni a prenderlo. E ciò tornerebbe; ma nel dolce mondo, non nel-
l'inferno. Nell'inferno Gerione salirà su, se crederà di trovare un
fraudolento, non un semplice; uno pieno di accorgimenti e di se-
grete vie per offendere altrui, non uno sfornito pur d'ogni pruden-
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