Page 120 - Sotto il velame
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ne della nostra vita». E della temperanza, ch'ella «è regola e freno
           della nostra golosità e della nostra soperchievole astinenza nelle
           cose che conservano la nostra vita». Insomma egli, seguendo Ari-
           stotele, afferma come ogni virtù sia «un abito elettivo consistente
           nel mezzo». Nella Comedia non pare che pensi di tutte le virtù a
           questo modo; chè, se così avesse pensato, anche nel cerchio della
           lussuria e della gola avrebbe messo, oltre quelli che trasmodano
           per il troppo, anche quelli che trasmodano per il poco: «per la so-
           perchievole astinenza». Egli, nella Comedia, dà a divedere che
           nella lussuria e nella gola l'astinenza non è mai soperchievole. Se
           pure questa astinenza egli non vede che porti ad altre reità, le qua-
           li siano punite altrove; poniamo, in quanto alla gola, nel cerchio
           degli avari; in quanto alla lussuria, nel girone ove è Brunetto. A
           ogni modo, l'astinenza per sè e in sè non condanna, se non nell'a-
           varizia e nel peccato della palude stigia. Nel quarto cerchio si
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           peccò, pare, intorno a liberalità  «la quale è moderatrice del no-
           stro dare e del nostro ricevere le cose temporali». In verità vi è
           punito il mal dare e il mal tenere; e l'ontoso metro dei dannati è:
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           Perchè tieni? e, Perchè burli ? Gli uni e gli altri non ebbero fre-
           no; cioè temperanza: gli uni a tenere, gli altri a spendere. E così
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           conferma Stazio  il quale dice ch'egli comprese, da un verso del-
           l'Eneide, che l'appetito doveva essere retto, cioè governato e fre-
           nato, tanto nello spendere, quanto nel tenere: non ci dovevano es-
           sere nè pugni chiusi nè mani che aprano l'ali.
              Ora se l'incontinenza è duplice, Dante la punì nell'inferno nelle
           sue due specie? Sì: chiaramente. Egli definisce l'incontinenza d'i-
           rascibile, quando nel Convivio parla della fortezza, dicendo ch'el-
           la è «arme e freno a moderare l'audacia e la timidità nostra».
           L'audacia e la timidità sono subbiettivamente nell'irascibile .
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           Ora s'intende facilmente come nella palude stigia siano puniti
           266   Conv. IV 17
           267   Inf. VII 25 segg.
           268   Purg. XXII 49 seg.
           269   Vedi Summa 1a 59, 1 e passim; 1a 2ae 25, 1 e passim.


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