Page 115 - Sotto il velame
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è opposto all'aere; il suo nigrore, al sole. Tristi non dovevano es-
sere nell'aere dolce e nel sole; questo e quello dovevano essere
farmaco alla loro tristizia. Ora questo farmaco non è quello stesso
che valse, a Dante? che gli diede speranza, e perciò impedì che
egli già avanti la lonza si attristasse, come fece poi avanti la
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lupa ? Invero la cagione a bene sperare fu «l'ora del tempo», e il
tempo era dal principio del mattino e il sole montava su: era il
sole, dunque. E poi era la dolce stagione, e la stagione era di pri-
mavera, e l'aere, che faceva dolce la stagione, era, dunque, dolce.
A quei fitti nel fango l'aer dolce e il sole non valse; e furono tristi:
a Dante sì, valse, e non s'attristò e sperò bene. Or come si chiama
la tristizia di quei ranocchi gorgoglianti nel fango? Quei della pa-
lude pingue di che sono rei? Quei della palude pingue, come
quelli 259
che porta il vento e che batte la pioggia
e che s'incontran con sì aspre lingue,
cioè i lussuriosi e golosi e avari con prodighi, sono appunto col-
pevoli di quella incontinenza la quale
men Dio offende e men biasimo accatta,
che la malizia. Contro l'incontinenza avrebbe giovato l'aere e il
sole a quelli della palude; giovò, l'aere e il sole, a Dante contro la
lonza. Dunque la lonza è l'incontinenza.
Ma si può dire: come il peccato di quei fitti nel fango può es-
sere raffigurato in quella fiera così leggiera e presta? E a ogni
modo, si può aggiungere, quel peccato è sì d'incontinenza, ma
non è l'incontinenza. Anzi, si può domandare, che peccato è?
Mettiamo tristizia, mettiamo accidia. Come la tristizia può essere
in quella fiera snella? come l'accidia in quella fiera presta? Non ti
258 Inf. I 57.
259 Inf. XI 70 segg. cfr. 83 seg.
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